Emanuele Notarbartolo (1834-1893) fu un politico e un banchiere italiano, noto soprattutto per essere stato il primo caso eccellente di omicidio mafioso nella storia d’Italia.
Di origine aristocratica, Emanuele Notarbartolo fu sindaco di Palermo dal 1873 al 1876 e successivamente direttore generale del Banco di Sicilia. Durante la sua gestione, cercò di contrastare la corruzione e le infiltrazioni mafiose nel sistema bancario siciliano, il che lo rese bersaglio di potenti interessi criminali.
Fu assassinato il 1° febbraio 1893 su un treno vicino a Termini Imerese. L’omicidio suscitò grande scalpore e portò a un lungo e controverso processo. Uno dei principali sospettati fu Raffaele Palizzolo, un influente politico siciliano legato alla mafia. Tuttavia, i processi che seguirono furono segnati da depistaggi e interferenze, e la vicenda si concluse senza una piena giustizia.
L’omicidio di Emanuele Notarbartolo è considerato uno degli episodi simbolo della lotta tra lo Stato italiano e la mafia nella Sicilia di fine Ottocento. Ebbe conseguenze politiche profonde nel contesto italiano, poiché rappresentò il primo caso in cui la mafia siciliana dimostrò di poter colpire apertamente figure di alto livello dello Stato.
Le ripercussioni di questo delitto furono molteplici. Innanzitutto, crebbe l’attenzione sulla mafia. Fino ad allora, la mafia era considerata un fenomeno locale e spesso sottovalutato. L’omicidio portò alla luce il legame tra criminalità organizzata, politica e affari, attirando l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale.
Il caso rivelò le connivenze tra ambienti politici e mafiosi. Il principale sospettato dell’omicidio, il deputato siciliano Raffaele Palizzolo, era un politico influente e protetto da una rete di complicità che coinvolgeva anche la magistratura e il parlamento. Vi fu uno scandalo politico e una crisi istituzionale. I processi furono caratterizzati da pressioni e insabbiamenti, minando la fiducia nelle istituzioni.
L’omicidio di Emanuele Notarbartolo e le sue conseguenze si inserirono nel clima politico turbolento della fine del XIX secolo, indebolendo il governo Crispi. Francesco Crispi, capo del governo, fu costretto a prendere una posizione più dura contro la mafia, ma al tempo stesso perse il controllo della situazione, contribuendo alla sua crisi politica e alla fine del suo mandato nel 1896.
Il processo fu trascinato per anni, tra assoluzioni, condanne annullate e pressioni politiche. Palizzolo fu condannato nel 1902 ma assolto nel 1904 per insufficienza di prove. Questo dimostrò la debolezza dello Stato nel contrastare la mafia, un problema che sarebbe rimasto per tutto il Novecento e oltre.
Nonostante l’impunità nei confronti degli esecutori e dei mandanti, il caso Notarbartolo segnò una svolta. Per la prima volta, la mafia non era più solo una questione locale, ma un problema politico nazionale. Iniziò una maggiore consapevolezza sulla necessità di contrastarla, anche se con risultati limitati.
In sintesi, l’omicidio di Emanuele Notarbartolo scosse l’opinione pubblica e rivelò l’intreccio tra mafia e politica, ma non portò a un’immediata svolta nella lotta alla criminalità organizzata, che avrebbe continuato a prosperare nei decenni successivi in modo inarrestabile. A lui è intitolata una delle principali stazioni ferroviarie e una delle vie più trafficate di Palermo, via Notarbartolo, dove abitava il Giudice Giovanni Falcone, anch’egli vittima della mafia.



