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La Sicilia a Garibaldi verso l’Unità

by Esther Di Gristina
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Quando, nell’autunno del 1860, Garibaldi completò la conquista della Sicilia, cominciò ambiziosamente a immaginare di poter convincere il Re Vittorio Emanuele II di Savoia ad occuparsi del conte Cavour. Garibaldi avrebbe voluto isolarlo, con lo scopo di far applicare un programma più radicale e dare una normativa autonoma al governo della Sicilia.

Garibaldi aveva nominato un Comitato, composto dai siciliani più eminenti, per riferire sulle particolari necessità della regione. Il Comitato raccomandò la creazione di un’Assemblea Regionale con ampi poteri, che era senza dubbio il desiderio predominante della maggioranza dei siciliani politicamente coscienti. Dovettero passare 85 anni prima che un governo italiano accettasse questo consiglio.

Ma, nel frattempo, leggi e istituzioni piemontesi vennero introdotti gradualmente, e il Tricolore fu imposto ufficialmente alla Sicilia per decreto personale dello stesso Garibaldi. Vana illusione era per gli isolani l’idea di riportare in vita il secolare Parlamento Siciliano. S’introdusse il sistema parlamentare piemontese, che era molto diverso. Alcuni illustri siciliani furono oppressi e offesi, per non essere stati consultati, per la mancata concessione di qualche forma di autogoverno.

Camillo Benso, Conte di Cavour, sapeva così poco della Sicilia, che alla prima proposta di restaurare un parlamento siciliano separato, fatta senza dubbio per istigazione dei nobili, egli si rese conto di essere in una posizione abbastanza forte da imporre invece proprie decisioni. Si procedette alla semplicemente e automatica annessione della Sicilia al Piemonte.

Di contro, il plebiscito indetto nell’ottobre 1860 aveva dato una maggioranza favorevole del 99% alla formazione di una maggioranza per una nazione italiana e i suoi effetti immediati furono quello di trasferire il potere da Garibaldi al Primo Ministro, Camillo Benso Conte di Cavour, e quindi al Parlamento di Torino.

Se la Sicilia fosse stata abbastanza ricca da poter adottare le imposte e le tariffe del Nord Italia, o se fosse stata sufficientemente progredita dal far funzionare un sistema giuridico e legislativo come quello del Regno di Piemonte… erano questioni che Cavour non ebbe il tempo di porsi, data la sua prematura morte il 6 giugno 1861.

Tanti anni dopo si realizzò il sogno di tanti siciliani: venne istituito un governo regionale, approvato con Regio decreto del 1946 e poi con legge Costituzionale del 1948. Tuttavia, questa condizione non portò tutti quei privilegi che i suoi sostenitori avevano promesso. Nel settore economico seguirono grandi trasformazioni, ampie e apprezzabili, rispetto a quelle realizzate all’Unione con l’Italia il secolo prima.

L’autonomia siciliana ha contribuito certamente a rimuovere molti elementi negativi e di frustrazione, soprattutto ha investito i siciliani a un grado molto maggiore di responsabilità. Ma alcune grandi questioni sono rimaste aperte, e questo era inevitabile.

Una nuova classe politica con un nuovo codice di comportamento e il progetto autonomista federalista, rappresentarono gli obiettivi che investirono in primo luogo le più alte cariche regionali, lo stesso Presidente dell’Assemblea.

La Sicilia cesserà, un giorno, di essere terra di emigrazione da cui i suoi figli, specie i migliori, cercano di fuggire? L’isola sarà in grado, con i propri sforzi, di bilanciare la sua economia, e portare avanti il progresso di sviluppo, coi propri mezzi? Questi sono interrogativi per i quali non sono state ancora date risposte.

Purtroppo, assistiamo sempre più a una degenerazione del ruolo politico, che si presenta privo di capacità risolutive per i problemi che incombono progressivamente sulla società isolana. Questa volta, il popolo siciliano non può incolpare né piemontesi, né romani. Il problema della Sicilia sono i siciliani.

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