La battaglia di Caporetto, combattuta tra il 24 ottobre e il 12 novembre 1917, è uno degli eventi più drammatici della Prima guerra mondiale per l’Italia. Lo storico Alessandro Barbero ne ha parlato in diverse occasioni, descrivendola come un evento emblematico della guerra e della fragilità dell’esercito italiano.
La sconfitta di Caporetto non fu solo il risultato di un attacco ben congegnato da parte degli austro-tedeschi, ma anche di una serie di problemi strutturali dell’esercito italiano. Fattori strategici, tattici e psicologici: elementi fondamentali che vanno oltre la semplice narrazione di una disfatta militare.
Lo storico Alessandro Barbero ha analizzato approfonditamente le cause della disfatta di Caporetto. Egli sottolinea che, nonostante le responsabilità individuali di comandanti (Luigi Cadorna, Luigi Capello e Pietro Badoglio), la colpa fondamentale della sconfitta di Caporetto risiede nella fragilità strutturale dell’esercito italiano, ancor più logorato da due anni e mezzo di guerra.
A partire dalle risorse in campo. Al momento della battaglia, l’esercito italiano schierava circa 257.400 soldati e disponeva di 1.342 cannoni. Contro le forze congiunte austro-ungariche e tedesche, che contavano circa 353.000 soldati e 2.518 cannoni.
L’esercito italiano rifletteva le divisioni sociali del paese. Si preferiva affidare il comando a giovani borghesi inesperti piuttosto che promuovere sergenti provenienti dalle classi lavoratrici che avevano maturato esperienza sul campo.
Inoltre, la cultura militare dell’epoca scoraggiava l’assunzione di responsabilità e l’iniziativa individuale. Ad esempio, durante l’attacco del 24 ottobre 1917, molti comandanti d’artiglieria non aprirono il fuoco senza ordini diretti, anche quando le comunicazioni erano interrotte.
Alessandro Barbero critica una classe dirigente più abile nelle parole che nei fatti, con generali che emanavano circolari esortando i soldati a combattere fino alla morte, senza affrontare le reali problematiche operative e strategiche.
I nemici utilizzarono tecniche innovative di infiltrazione e attacchi a sorpresa, evitando gli assalti frontali tradizionali. Questo permise loro di penetrare rapidamente le linee italiane, sfruttando anche la scarsa difesa del settore assegnato alla Seconda Armata italiana.
La disorganizzazione e la fragilità del comando italiano furono fatali. Il generale Luigi Cadorna non comprese l’entità della minaccia e non adottò strategie efficaci per contenere l’avanzata nemica. Inoltre, la sua gestione autoritaria e punitiva dell’esercito contribuì a un morale basso tra le truppe.
Alessandro Barbero evidenzia come molti soldati italiani fossero stremati da anni di guerra di trincea, e dopo le undici battaglie dell’Isonzo. Malnutrizione e la distanza tra ufficiali e truppa portarono a una sfiducia diffusa.
La rapida avanzata nemica generò panico e disorganizzazione, portando a un crollo psicologico delle unità italiane, che si trasformò in una rottura della linea di difesa. L’offensiva fu guidata dal generale tedesco Otto Von Below, con un utilizzo innovativo delle truppe d’assalto (Sturmtruppen). L’attacco iniziò con un bombardamento mirato sulle retrovie italiane. Al quale seguirono infiltrazioni rapide. Anziché un attacco frontale massiccio.
Il fronte italiano crollò velocemente, con intere divisioni italiane che furono accerchiate e costrette a ritirarsi. Il comando italiano, rigido e inefficiente, non aveva preventivato una ritirata ordinata, e il morale basso delle truppe non aiutò.
La ritirata italiana fu caotica, con oltre 300.000 soldati dispersi e un numero enorme di prigionieri. Il fronte si stabilizzò solo sul fiume Piave, grazie a una resistenza disperata e al cambio di comando, con l’arrivo di Armando Diaz.
La Battaglia di Caporetto (24 ottobre – 12 novembre 1917) fu una delle sconfitte più pesanti subite dall’esercito italiano durante la Prima Guerra Mondiale. L’Italia contò circa 40.000 morti e feriti, ma soprattutto oltre 280.000 prigionieri e circa 350.000 sbandati, che si ritirarono disordinatamente. L’Austria-Ungheria e la Germania ebbero perdite molto inferiori: circa 70.000 tra morti, feriti e dispersi.
Non esiste un numero esatto e ufficiale delle perdite siciliane della Battaglia di Caporetto. Poiché i dati sulle vittime italiane sono generalmente riportati in termini complessivi, senza suddivisioni regionali. Tuttavia, si sa che molti soldati siciliani parteciparono alla battaglia, in particolare appartenenti alla Brigata Aosta (91º e 92º Reggimento fanteria) e ad altre unità di fanteria.
Nonostante la gravità della sconfitta, l’esercito italiano riuscì a riorganizzarsi e a fermare l’avanzata nemica nelle battaglie successive. La disfatta rivelò le debolezze del sistema italiano, ma il paese reagì con uno spirito di resistenza che culminò nella vittoria finale del 1918.
Caporetto divenne sinonimo di sconfitta e crollo morale, un termine ancora usato oggi nel linguaggio comune. Ma non segnò la fine della guerra per l’Italia. L’Italia imparò dai propri errori e, un anno dopo, vinse la guerra con la battaglia di Vittorio Veneto (Ottobre-Novembre 1918), dimostrando che dalla sconfitta si può risorgere più forti.








