Gli italiani si trovarono a Cefalonia durante la Seconda Guerra Mondiale, a causa dell’occupazione della Grecia e delle sue isole da parte dell’Italia e della Germania nazionalsocialista. La vicenda di Cefalonia è tristemente famosa per il massacro della Divisione Acqui, una delle pagine più dolorose della storia militare italiana.
Nel 1940, l’Italia di Mussolini, cercando di espandere il proprio impero, invase la Grecia, ma l’invasione fu un fallimento iniziale. Le forze italiane furono respinte e la situazione fu salvata solo grazie all’intervento della Germania nel 1941, che riuscì a sconfiggere l’esercito greco e a occupare il paese.
Dopo l’occupazione della Grecia, le forze italiane e tedesche si spartirono il controllo del territorio, con le isole ioniche (come Cefalonia e Corfù) sotto il controllo italiano. La” Divisione Acqui,”un’unità dell’esercito italiano, fu assegnata a Cefalonia per presidiare l’isola
Il momento cruciale della vicenda si verificò l’8 settembre 1943, quando venne annunciato l’armistizio ( ma la pace era ancora lontana) dai microfoni di Radio Algeri. Gli italiani appresero dal Generale Eisenhower che “il Governo Italiano si era arreso incondizionatamente gli Alleati”.
Tale decisione creò una situazione di caos: l’esercito italiano si trovò in una posizione ambigua, non sapendo se continuare a combattere a fianco della Germania o arrendersi agli Alleati. A Cefalonia, la Divisione Acqui, comandata dal Generale Antonio Gandin, si trovava a dover prendere una decisione difficile.
I tedeschi ordinarono agli italiani di consegnare le armi e di unirsi a loro, ma la maggior parte dei soldati italiani, stanchi della guerra e confusi dalla nuova situazione, si oppose. Dopo una serie di trattative e tensioni, il Generale Gandin decise di resistere all’ultimatum tedesco, scegliendo di combattere.
I tedeschi reagirono duramente. A partire dal 15 settembre 1943, le truppe tedesche lanciarono un attacco massiccio contro la guarnigione italiana, con bombardamenti aerei e attacchi di terra. Dopo diversi giorni di violenti combattimenti, la Divisione Acqui fu sopraffatta.
Il risultato fu tragico: oltre 1.300 soldati italiani morirono nei combattimenti, e, successivamente, i tedeschi procedettero con un atto di terribile rappresaglia. Tra il 18 e il 23 settembre, circa 5.000 soldati italiani catturati furono giustiziati sommariamente dai tedeschi; mentre altri furono deportati nei campi di prigionia in Germania.
La disfatta italiana a Cefalonia rappresentò uno dei momenti più tragici del crollo del Regio Esercito dopo l’armistizio. Il massacro di Cefalonia divenne simbolo del caos seguito all’8 settembre 1943 e della brutalità della guerra. Cefalonia mostrò quanto fosse mal gestita la transizione italiana dall’essere alleata della Germania al cercare di passare con gli Alleati. Le truppe italiane non ricevettero ordini chiari e furono lasciate spesso a decidere da sole il da farsi.
I soldati italiani furono considerati traditori dai tedeschi per aver cambiato schieramento, e questo provocò una delle più grandi esecuzioni di massa di prigionieri di guerra italiani durante il conflitto. Il massacro di Cefalonia è stato a lungo ricordato in Italia come un esempio del sacrificio e della lealtà dei soldati italiani, nonostante le circostanze sfavorevoli e la mancanza di direttive.
Con il passare del tempo, l’evento ha anche portato a riflessioni sulla memoria storica. Alcuni ufficiali tedeschi furono processati dopo la guerra, per il massacro di Cefalonia, ma molti responsabili rimasero impuniti. La Germania e l’Italia hanno cercato di riconciliarsi con questo doloroso episodio, anche se il dibattito su responsabilità e giustizia è rimasto a lungo aperto.
L’episodio di Cefalonia rimane uno dei capitoli più tragici e controversi della partecipazione italiana alla Seconda Guerra Mondiale, simbolo di una guerra persa e di un esercito allo sbando, ma anche di eroismo e resistenza contro l’oppressore.