Cesare Mori venne inviato in Sicilia nel 1925 dal regime di Benito Mussolini con l’incarico di eliminare la mafia. Un’operazione che, per la sua durezza e radicalità, rimase storicamente significativa. Mussolini, che aveva appena consolidato il suo potere e cercava di ottenere il controllo totale del paese, comprendeva che la mafia siciliana rappresentava un ostacolo, poiché controllava vasti territori dell’isola e aveva un enorme potere economico e sociale. Oltre a ciò, la presenza della mafia rappresentava una minaccia al dominio del regime fascista, che voleva dimostrare la propria autorità ovunque.
Il Duce vide nella lotta alla mafia un’opportunità per rafforzare il controllo dello Stato, aumentare il consenso popolare e consolidare il suo potere anche nelle regioni meridionali. Per questo scelse Cesare Mori, un uomo noto per la sua fermezza e il suo approccio spietato, come strumento per attuare la sua politica antimafia.
Dopo l’ottimo lavoro presso la Prefettura di Trapani, Mussolini nominò Mori Prefetto di Palermo, dove si insediò con poteri straordinari e con competenza estesa a tutta la Sicilia. Arrivato nell’isola nel 1925, Mori mise in atto una campagna repressiva senza precedenti contro la mafia, usando metodi brutali e intransigenti.
Mori non esitò a utilizzare metodi violenti per ottenere informazioni e arrestare sospetti mafiosi. Eseguiva perquisizioni a sorpresa, usava il carcere senza processo per intimidire e spesso minacciava direttamente le famiglie dei mafiosi. L’assedio di Gangi (o “pacificazione di Gangi”) condotto dal prefetto Cesare Mori nel 1926 rappresentò uno degli episodi più noti della lotta contro la mafia in Sicilia durante il periodo fascista.
Il paese di Gangi, situato nell’entroterra della Sicilia (Provincia di Palermo, ora Città Metropolitana), era noto per essere un rifugio sicuro per i latitanti mafiosi, grazie alla conformazione del suo territorio montuoso e alla complicità di parte della popolazione locale. La Strategia di Mori fu l’assedio, che ebbe luogo nel Gennaio del 1926.
Mori organizzò una vasta operazione militare contro il paese, inviando un considerevole contingente di forze dell’ordine, composto da carabinieri, soldati e poliziotti, per circondare il borgo e bloccare tutte le vie di fuga. Il piano prevedeva di stanare i latitanti mafiosi che si erano rifugiati in case e grotte della zona. Per questo Mori ordinò di sigillare tutte le strade che portavano a Gangi, impedendo qualsiasi comunicazione e fornitura compreso l’acqua al paese.
Furono impiegati numerosi uomini armati per presidiare i confini, rendendo impossibile l’uscita o l’ingresso di chiunque senza essere controllato. Con l’assedio furono arrestati molti criminali, inclusi membri della mafia.
Mori indagò e incriminò non solo mafiosi, ma anche amministratori locali e politici, che avevano legami con la mafia. Questo attacco diretto alle istituzioni locali minò il sistema di potere che la mafia aveva creato, portando all’arresto di centinaia di persone, inclusi sindaci, funzionari pubblici e nobili.
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Tuttavia, il successo di Mori era solo parziale e temporaneo, per diverse ragioni. Mori si concentrò principalmente sulla repressione, senza intervenire sulle condizioni sociali ed economiche che avevano permesso alla mafia di prosperare, come la povertà, l’ignoranza e la mancanza di uno Stato forte in Sicilia. Questo significava che, una volta ritirato Mori, il terreno per il ritorno della mafia era ancora fertile.
Cesare Mori venne rimosso dal suo incarico e nominato Senatore, una mossa che di fatto concluse la sua campagna antimafia. Nonostante i suoi successi iniziali, la lotta contro la mafia non era una priorità permanente per il regime fascista, che preferiva concentrarsi su altre questioni.
Nonostante Mussolini volesse mostrare di avere il controllo totale, il fascismo stesso era un sistema che sembrava tollerare compromessi con i poteri locali. Dopo il ritiro di Mori nel 1929, il regime fascista smise di sostenere attivamente la sua campagna antimafia.Gli interessi economici e politici locali presero il sopravvento, e molte figure mafiose riuscirono a ricostruire il loro potere.
La repressione di Mori ridusse effettivamente la visibilità della mafia e permise allo Stato di avere per qualche tempo un maggiore controllo in Sicilia, ma non sradicò il fenomeno. La mafia rimase, in molte aree, una forza latente pronta a riemergere in condizioni favorevoli. Infatti, dopo la rimozione di Mori e con la fine del fascismo nel 1943, furono rapidi i mafiosi nel tornare ad occupare posizioni di potere e influenzare la politica e l’economia siciliana.
Per questo l’eredità di Cesare Mori è controversa. Da un lato, fu uno dei pochi a ottenere successi tangibili contro la mafia, mostrando che con la volontà politica giusta era possibile combattere il fenomeno. Dall’altro, i suoi metodi brutali, spesso a discapito di diritti umani e legali, e il contesto autoritario del fascismo, hanno fatto sì che la sua figura rimanesse divisiva.
In sintesi, Cesare Mori fu inviato in Sicilia per combattere la mafia, ed effettivamente egli ottenne successi, ma attraverso la repressione. Ma alla fine, la mancanza di una strategia a lungo termine e il progressivo disinteresse del regime fascista permisero alla mafia di risorgere dopo la sua rimozione, lasciando il problema irrisolto.