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I FLORIO. Ignazio e Vincenzo Junior: gli ultimi eredi di Casa Florio

di Antonietta Patti
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ignazio e vincenzo junior gli ultimi eredi di Casa Florio

Ignazio e Vincenzo Junior furono gli ultimi grandi protagonisti della dinastia Florio. Ignazio, uomo di grande eleganza, si distinse per la sua capacità di innovare il settore industriale e per il suo impegno come mecenate e filantropo. Suo fratello Vincenzo, spirito avventuroso e appassionato di motori, lasciò un’impronta indelebile nel mondo delle corse automobilistiche. I due fratelli tentarono di mantenere vivo l’impero costruito dai loro predecessori, ma dovettero affrontare sfide economiche e personali che segnarono il declino della famiglia Florio e della Sicilia.

Ignazio Junior nacque l’1 settembre 1896 e aveva 21 anni quando il padre morì. Ne fu di fatto l’erede, dato che suo fratello, Vincenzo Junior, nato il 18 marzo 1883, aveva soltanto 8 anni alla morte del padre. Insieme a Giulia, erano i figli di Don Ignazio Senior e donna Giovanna D’Ondes Trigona.

Ignazio Florio Junior (fotografia esposta al Palazzo Florio di Favignana)

Nel 1893, poco dopo la morte del padre, Ignazio riuscì a sposare la famosissima Franca, ovvero Francesca Jacona della Motta di Villarosa, baronessa di San Giuliano (figlia unica del barone Pietro Jacona e di Costanza Notarbartolo). Il matrimonio venne celebrato a Livorno, dove la famiglia di lei si era trasferita, per sfuggire alla corte di Ignazio, o agli assalti dei creditori del barone. I due erano innamoratissimi, nonostante la fama di donnaiolo di Ignazio. Una fama che lo seguì per tutta la vita, e che fece sempre soffrire Franca.

Franca Florio (fotografia esposta al Palazzo Florio di Favignana)

Poco dopo il matrimonio, Don Ignazio si ritrovò a dover combattere per la conferma delle convenzioni marittime. Queste vennero rinnovate, ma il governo impose alla NGI di adeguare i suoi mezzi, chiedendo al Credito Mobiliare Italiano con garanzia di Casa Florio.

Malgrado le assicurazioni del governo che le nuove convenzioni avrebbero confermato il mantenimento della sede palermitana, il lavoro tendeva già a diminuire. La NGI aveva cominciato a dirottare a Napoli e a Genova le riparazioni di alcuni suoi piroscafi, perché a Palermo mancavano le attrezzature idonee e lo Scalo di alaggio era diventato troppo piccolo. Per questo motivo Ignazio volle e riuscì a far costruire i Cantieri Navali di Palermo, che ancora oggi esistono, quale primo nucleo dell’odierna Fincantieri.

I Cantieri Navali dai giardini di Villa Igiea (foto di A. Patti)

All’inizio del 1893 la situazione finanziaria di Casa Florio era solidissima. Tanto che il Banco Florio poteva permettersi di accettare operazioni a riporto sui titoli della NGI. E la garanzia personale di Don Ignazio Florio bastava alla Banca Nazionale per convincerla a scontare cambiali per 15 milioni al Credito Mobiliare Italiano in difficoltà. Questa banca però, esposta per 53 milioni verso la Banca Nazionale, fu costretta a chiudere i battenti nel novembre del 1893.

Proprio all’inizio del 1893 il Credito Mobiliare Italiano aveva aperto una sede nei locali del Banco Florio. Don Ignazio era uno degli amministratori, e di fronte alla chiusura degli sportelli, per il buon nome della sua Casa, si sentì moralmente impegnato a rimborsare integralmente i depositanti sborsando di tasca propria quasi 4 milioni. Fu a quel punto che Casa Florio cominciò a indebitarsi con la Banca Commerciale Italiana.

Oltre al grave salasso economico, quello che pesava a Ignazio era il fallimento di un suo disegno. Egli aveva favorito l’ingresso di una grossa banca nella realtà siciliana. In questo modo l’imprenditoria locale avrebbe potuto accedere a capitali nazionali per realizzare investimenti produttivi nell’isola.

Don Ignazio cercò di salvare Casa Florio e la Sicilia. Promosse un ammodernamento dell’agricoltura e dell’industria siciliana, costituendo nel 1899 il Consorzio Agrario Siciliano. Purtroppo era solo: non riuscì a trovare proprietari terrieri e industriali disposti a investire i propri soldi nel “Progetto Sicilia”.

I grossi proprietari terrieri non condivisero mai, di fatto, la spinta innovatrice della nuova classe imprenditoriale siciliana. Rimasero arroccati ai loro privilegi di casta e non furono mai disposti a rischiare in proprio o a investire capitali per una ristrutturazione delle aziende, per un ammodernamento delle tecniche di estrazione mineraria o per migliorare la qualità del lavoro di braccianti e zolfatari.

Il rispetto per i propri dipendenti, la considerazione per il loro lavoro, erano stati, invece, caratteristiche costanti di Casa Florio, fin dai tempi di Vincenzo. I Florio s’informavano delle situazioni familiari dei loro dipendenti, comprendevano le loro esigenze e i loro bisogni. Infatti, avevano istituito un insieme di previdenze sociali per i loro lavoratori.

Nel tentativo di dar voce al Progetto Sicilia, Ignazio fondò anche il giornale L’Ora. “L’Ora” diventò presto un quotidiano di livello europeo. Disponeva di un servizio telegrafico diretto con le varie capitali europee, di una redazione a Roma e a Milano. Al giornale collaborarono politici e intellettuali prestigiosi, come Gabriele D’Annunzio e Matilde Serao.

Tavernetta del tiro, oggi Stand Florio (foto di A. Patti)

Dalla seconda metà degli anni Novanta dell’Ottocento i Florio cominciarono a mettere in vendita pezzi del proprio patrimonio immobiliare, e a perseguire con maggiore determinazione il recupero di vecchi crediti, non trascurando neppure azioni giudiziarie contro parenti e amici. Uno dopo l’altro, tutti i settori di attività di Casa Florio vennero ceduti alla Banca Commerciale Italiana

Il settore vinicolo, nel quale i Florio erano al primo posto, entrò in crisi. Nel 1900 la filossera arrivò anche a Marsala, distruggendo i raccolti. Nel dicembre 1904 Don Ignazio costituì la “Florio e C.-Società Anonima Vinicola Italiana” (SAVI), alla quale inizialmente cedette soltanto lo stabilimento e i macchinari per la produzione del Marsala, con le succursali di Campobello di Mazara e di Balestrate. Successivamente dovette vendere tutto, compreso il marchio Florio. Nel 1905 la società milanese Distillerie Italiane acquisì buona parte della SAVI, che poi finì acquistata dalla Cinzano.

La Società Nazionale dei Servizi Marittimi, una compagnia costituita a Roma nel giugno 1910, rilevò buona parte delle navi della NGI e l’intera rete delle agenzie e uffici. I Florio dovettero così abbandonare l’antica sede di Piazza Marina, per impiantare una nuova agenzia marittima in Via Roma 125-129, dove continuarono l’attività come rappresentanti di alcune compagnie di navigazione. La Società Nazionale dei Servizi Marittimi divenne la Tirrenia.

Via Roma 125-129, Palermo (foto da Google Maps)

Questo costante ingresso in Sicilia di società e imprese del tutto estranee agli interessi dell’isola aveva il solo scopo di rastrellare denaro da reinvestire nel famoso «triangolo industriale» del Nord. L’isola venne relegata a periferia del Meridione e aumentò il divario tra Nord e Sud d’Italia.

A livello politico, il declino dei politici siciliani, come Crispi, segnò la fine del protagonismo siciliano. Le ostilità con Giolitti, presidente del Consiglio, e con gli imprenditori del Nord Italia, come Erasmo Piaggio, furono in parte causa della caduta dell’impero economico dei Florio.

Infatti, i Florio cominciarono ad assumere i peggiori codici comportamentali dell’aristocrazia siciliana. Quegli stessi atteggiamenti che Vincenzo Florio deprecava, perché avevano portato i nobili a dilapidare le fortune dei loro antenati. Don Ignazio, sua moglie Franca e suo fratello Vincenzo, vissero in sintonia con gli eredi delle più prestigiose famiglie feudali dell’isola e dell’alta aristocrazia internazionale.

Don Ignazio vestiva a Londra, dallo stesso sarto del principe Edoardo (il futuro re d’Inghilterra). Donna Franca sfoggiava abiti realizzati nelle sartorie più esclusive di Parigi e gioielli stupendi e costosissimi, regali del generosissimo marito. Doni fatti per farsi perdonare le numerose avventure extraconiugali, comprese le due collane di perle: una lunga 1,4 metri e l’altra 1,8 metri. Così come costavano i tradimenti: Ignazio regalò a Lina Cavalieri, una delle sue tante amanti, addirittura una villa a Settignano.

Del resto, il loro rango li obbligava a un certo tenore di vita. Già Ignazio Senior aveva cominciato a fare spese di rappresentanza: un primo yacht personale (Mary Queen) e un vagone ferroviario privato col quale la famiglia viaggiava verso il continente. Queste spese aumentarono col figlio. Non bisogna dimenticare inoltre che Franca era dama di corte della regina Elena, moglie del re Vittorio Emanuele III di Savoia.

I Florio furono sempre in prima fila per le attività benefiche: mense per i poveri, asili nido, scuole, l’Istituto per ciechi (a Villa del Pigno, dove Vincenzo Florio aveva impiantato la tessoria, poi chiusa dal figlio Ignazio Senior) e quello per sordomuti, il primo nucleo dell’Ospedale dei Bambini e del Civico, gli aiuti dati alla popolazione messinese dopo il terremoto del 1908 che distrusse la città.

Villa del Pigno a Palermo (foto di A. Patti)

Anche Villa Igiea avrebbe dovuto essere centro di cura per malattie polmonari, donato alla città. Ma le cure che avrebbero dovuto essere promosse si rivelarono scientificamente inutili, e il progetto venne cambiato. Da centro medico, la villa all’Acquasanta divenne un hotel di lusso.

Un altro progetto che vide i Florio protagonisti fu la creazione del Teatro Massimo: il teatro più grande d’Italia, e il terzo d’Europa. Il teatro fu progettato da Giovan Battista Filippo Basile e dal figlio Ernesto; Don Ignazio ne fu il primo impresario.

Villa Igiea (foto di A. Patti)

Oltre alle disgrazie economiche, la famiglia Florio venne colpita da numerose disgrazie umane. Ignazio e Franca ebbero 5 figli: Giovannina, Igiea, Ignazio, Giacobina e Giulia. Ne sopravvissero solo 2.

La primogenita, Giovannina morì a soli 9 anni, nel 1902. Nel 1903, il secondogenito ed erede, affettuosamente chiamato Baby Boy, morì ad appena 5 anni. Dopo qualche mese, Giacobina nacque e morì lo stesso giorno. Per alcuni anni Igiea, nata nel 1900, rimase figlia unica. Fino a quando nacque Giulia, nel 1909.

Forse lo sconforto causato da queste perdite, in un così breve lasso di tempo, fu il motivo per cui, almeno per un periodo, Don Ignazio non curò personalmente i suoi affari. Egli demandò tutto a collaboratori fidati che però non erano all’altezza, o forse lo tradirono.

Nel 1914 ai Florio rimanevano i proventi della casa da gioco di Villa Igiea e della fabbrica di ceramiche, i redditi forniti dalla ridotta attività commerciale, dall’agenzia di rappresentanza marittima, dalla gestione della drogheria e della farmacia e dai canoni di affitto dei latifondi.

Questi redditi avrebbero consentito a chiunque altro di vivere serenamente di rendita. Ma erano troppo esigui per supportare il tenore di vita a cui i Florio erano abituati. I Florio finirono per ipotecare ogni loro immobile. Persino gli immobili in Via dei Materassai, nel 1922, dove la storia dei Florio era iniziata.

Don Ignazio ci provò fino all’ultimo e nel 1925 costituì la “Florio-Società Italiana di Navigazione”, con sede sociale a Roma, e sede compartimentale a Palermo. Ma anche questa società finì per essere controllata dalla Banca Commerciale Italiana qualche anno dopo. Il crollo di Wall Street del 1929 e la crisi mondiale che ne seguì pose fine a tutti i tentativi di Ignazio di risollevare la situazione.

Ignazio e Franca vissero separati per alcuni anni. Mentre Franca viveva spostandosi tra i più lussuosi hotel del mondo, Ignazio si trovava alle Canarie. Egli visse una relazione con Vera Arrivabene a Tenerife, dove sperava d’impiantare una tonnara. I coniugi Florio si ritrovarono a vivere a Roma. Prima in una villa in Via Sicilia, poi in un appartamento in Via Piemonte e poi in albergo. I due non si amavano più, ma si rispettavano.

Nel frattempo, le loro figlie si sposarono: Igiea con il duca Averardo Salviati; Giulia con il marchese Achille Belloso Afan de Rivera. Entrambe ebbero figli e nipoti. Vive ancora oggi Cesare, figlio di Costanza Igiea, figlia di Giulia.

Vincenzo Florio Junior (fotografia esposta al Palazzo Florio di Favignana)

Don Vincenzo, fratello di Ignazio, non è mai intervenuto nella gestione delle imprese di Casa Florio, neppure per frenare il fratello. Il rapporto tra i due era improntato sulla massima fiducia: Ignazio fu più un padre che un fratello per Vincenzo.

Secondo il testamento del loro padre, metà degli utili netti spettanti a Vincenzo avrebbero dovuto essere investiti in beni immobili e rendite fondiarie. Queste proprietà, fornite come garanzia, avrebbe aiutato la famiglia per risolvere i loro problemi con le banche. Ma Ignazio non rispettò mai questa disposizione, usando i beni del fratello come fossero cosa sua. In accordo con Vincenzo, al quale certo non fece mai mancare nulla.

Vincenzo non aveva la passione per gli affari, e preferì sempre occuparsi di sport e dell’organizzazione di eventi mondani e manifestazioni sportive. Fu Don Vincenzo a inventare la Targa Florio: la più famosa corsa automobilistica della Sicilia. Per realizzarla vennero costruite strutture ad hoc, la cosiddetta Floriopoli. La corsa rimase attiva fino al 1973.

La Targa Florio era l’evento finale di una lunga serie di manifestazioni culturali che partivano a gennaio e finivano a maggio, riunite nella cosiddetta Primavera Siciliana. Tra le tante manifestazioni c’erano intrattenimenti teatrali, opere liriche, concerti, proiezioni cinematografiche, incontri di pugilato, partite di calcio, regate (all’Acquasanta e a Mondello), gare di atletica, e di tiro a segno (nella tavernetta del tiro, oggi Stand Florio in Via Messina Marina), e sfilate di carri allegorici e floreali, come quelle di Corso dei Fiori e la Festa della Zagara.

La vita sentimentale di Vincenzo Junior fu forse meno caotica rispetto a quella del fratello, ma non meno travagliata. Nel 1909 sposò la nobildonna Annina Alliata di Montereale, ma il matrimonio durò poco: Annina morì di colera nel 1911. I due abitarono nel Villino Florio, una delle poche tracce della Villa dei Florio all’Olivuzza ancora esistente. Dalla morte della moglie, Vincenzo non volle più abitare in questa casa.

Palazzo dei Florio in Via Catania, Palermo (foto di A. Patti)

Dapprima visse nell’ipotecato palazzo di Via Catania (ad angolo con Via Libertà, parte del quale venne poi dato in affitto all’Automobile Club di Sicilia), e poi in un appartamento in Via Principe di Belmonte (ad angolo con Via Principe di Scordia, su Piazza Ignazio Florio). Conviveva con una donna francese, Lucie Henry, già madre della piccola Renée (avuta da una precedente relazione). I due si sposarono nel 1931, quando ormai il crollo dei Florio non era più recuperabile.

Vincenzo e Lucie si recavano spesso a Roma, a trovare Ignazio e Franca, ma tra il 1942 e il 1944 si stabilirono a Roma, in un appartamento in Via XX Settembre 7. La Capitale veniva meno colpita dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Vi rimasero fino a quando, per errore, vennero arrestati dalle SS (perché accusati di voler vendere i gioielli della Corona di Savoia). L’errore venne chiarito e furono rilasciati 4 giorni dopo l’arresto: esattamente il 21 marzo 1944, 3 giorni prima del massacro delle Fosse Ardeatine.

Lucie Henry (fotografia esposta al Palazzo Florio di Favignana)

Don Ignazio tornò a vivere a Palermo, senza la moglie. Il 19 settembre 1957, all’età di 88 anni, morì nella villa a Mondello di un nipote, Franco Lanza di Scalea. Suo fratello Vincenzo morì a 76 anni, il 6 gennaio 1959 a Epernay, in Francia, dove era in visita dai suoceri. Abitava da qualche anno alla Palazzina dei Quattro Pizzi all’Arenella: l’unica proprietà che Lucie poté riscattare, grazie alle sue finanze.

Oggi, gli eredi finanziari dei Florio sono i Paladino. Renée sposò Giuseppe Paladino ed ebbe un figlio, chiamato Vincenzo. Quest’ultimo a sua volta ebbe un figlio, Chico. Costui, insieme alla moglie, gestisce la Palazzina dei Quattro Pizzi all’Arenella, oggi visitabile.

Vincenzo Florio Junior col nipote Vincenzo Paladino, detto Cecé
(fotografia esposta al Palazzo Florio di Favignana)

Ignazio e Vincenzo Junior furono gli ultimi eredi maschi dei Florio. Cresciuti nell’opulenza di una famiglia che aveva trasformato Palermo in una capitale del commercio e della cultura, i due fratelli si trovarono a gestire un’eredità imponente ma anche fragile. Con loro terminò la grande avventura di Casa Florio, e la storia di una famiglia che per oltre un secolo aveva dominato la scena economica e sociale della Sicilia.

Bibliografia e sitografia

  • Daniela Brignone (a cura di), I luoghi dei Florio. Dimore e imprese storiche dei “viceré di Sicilia”, Rizzoli, Prato 2022;
  • Orazio Cancila, I Florio. Storia di una dinastia imprenditoriale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2019;
  • Vincenzo Prestigiacomo, I Florio. Regnanti senza corona, Nuova Ipsa Editore, Palermo 2020.
albero genealogico dei Florio

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