I restauri di Villa del Casale. Una storia che continua

La Villa del Casale di Piazza Armerina (foto di A. Patti 03-12-2023)

La Villa del Casale di Piazza Armerina è un imponente sito archeologico, coi suoi circa 4100 mq risulta essere il più esteso edificio tardoantico rinvenuto al mondo. È anche la traccia di un popolo ormai scomparso, diverso da quello che oggi abita quei luoghi, e può diventare un ponte tra passato e presente. Tanti restauri di Villa del Casale si sono succeduti, perché è un bene prezioso e fragile che dev’essere protetto e tutelato in modo continuativo.

La Villa Romana del Casale di Piazza Armerina ha avuto una storia travagliata, dimostrata dalla ricerca archeologica. Gli scavi infatti, soprattutto nell’area a Sud della Villa, testimoniano che il sito ha avuto una continuità di vita dal I al XV secolo d.C. Anche gli scavi archeologici e le successive opere di conservazione hanno seguito un percorso tortuoso.

Intorno al 1935 si decise di non re-interrare i resti della villa tardoromana, ma di dotarli di una copertura. Così cominciarono i restauri alla Villa del Casale. La prima copertura era opera di Piero Gazzola: una struttura in legno e coppi siciliani poggiati sui resti delle mura antiche. Purtroppo, la struttura era soggetta a crolli, poiché il legno non riusciva a resistere alle infiltrazioni e al gelo. Perciò venne smantellata qualche decennio dopo.

Mentre veniva completata la campagna di scavo diretta da Gino Vinicio Gentili, nel 1954 venne affidato all’architetto Franco Minissi la realizzazione di un progetto di conservazione e musealizzazione del sito. Se i mosaici fossero stati esportati per essere collocati in un museo o un antiquarium sarebbero stati snaturati, percepiti quasi esclusivamente come opere d’arte.

La scelta di proteggere con una copertura un sito archeologico dipende dalle sue condizioni e dalle sue caratteristiche. Nel caso della Villa del Casale, le notevoli dimensioni delle superfici ricoperte da mosaico hanno reso ancor più necessaria un’operazione di copertura e musealizzazione in loco.

I lavori per i restauri della Villa del Casale partirono nel 1958, sulla base dei principi guida indicati da Cesare Brandi, Direttore del Centro di Restauro (ICR) di Roma. Gli ultimi interventi furono effettuati nel 1988 e collaudati nel 1990.

Alcuni ricorderanno la struttura realizzata da Franco Minissi. Era una struttura quasi trasparente, con lastre di perspex sorrette da tubi di acciaio zincato, a loro volta innestati sui muri antichi. I soffitti erano a due falde e a padiglione, con controsoffitti per isolare termicamente gli ambienti.

Il perspex era un materiale sperimentale, conosciuto per la leggerezza, la trasparenza, la coibenza termina e la resistenza ai raggi solari. Un materiale moderno, distinguibile dall’oggetto antico, che avrebbe evitato qualunque fraintendimento al visitatore. La struttura bloccava le infiltrazioni dell’acqua, l’umidità, limitava il diretto contatto dei raggi solari sfruttandone la luce. Al tempo stesso, la ricostruzione architettonica alludeva ai volumi dell’antico edificio, senza tentare di ricostruirli.

I restauri della Villa del Casale permettevano di entrare dentro la Villa. Minissi trovò un sistema per consentire la fruizione del sito senza mettere in pericolo i mosaici. Organizzò un percorso in quota su delle passerelle in grigliato metallico. Questo consentiva ai visitatori di vedere la maggior parte dei mosaici dall’alto, evitando di calpestarli.

Purtroppo, le modifiche al progetto originario e la mancata manutenzione accelerarono il degrado della struttura progettata da Minissi. Il perspex si opacizzò e usurò, l’umidità danneggiò i pali metallici e le travi lignee che sostenevano i pannelli laterali. Tutti gli ambienti erano chiusi da lastre fisse di persplex o di vetro, e porte blindate, che non consentivano la giusta circolazione dell’aria. Illuminata dai raggi solari, la struttura diventava una sorta di serra, e non proteggeva né i mosaici dai problemi di umidità, né i visitatori dalle botte di calore.

Col passare degli anni, la struttura non garantì più la protezione necessaria al bene culturale, era quindi necessario realizzare nuovi restauri alla Villa del Casale. Ma quella struttura ha permesso che nel 1977 l’UNESCO riconoscesse il sito archeologico come Bene Patrimonio mondiale dell’UNESCO, come abbiamo già raccontato in un precedente articolo.

Le istituzioni operarono dei restauri in seguito all’inondazione del vicino torrente Nocciara (13 ottobre 1991), e ad alcuni atti vandalici che la Villa subì tra il 1995 e il 1998. Fino a cominciare a pensare a un nuovo progetto di conservazione, stavolta affidato all’architetto Guido Meli, sotto il coordinamento di Vittorio Sgarbi.

Meli realizzò una nuova struttura di protezione, che ancora oggi possiamo osservare visitando la Villa Romana del Casale di Piazza Armerina. Eliminata la struttura semi-trasparente di Minissi, oggi appare una struttura molto diversa.

Il tetto è composto da lastre in fibra di vetro opache, coibentate e rivestite con lamine di rame pre-ossidate, sorrette da una serie di capriate in legno prefabbricato. Le pareti sono pannelli in cartongesso alveolari e intonacati. I teli fissati alle finestre consentono il passaggio dell’aria ed evitano l’illuminazione diretta dei raggi solari.

Questa nuova struttura ricostruisce quella originaria della Villa tardoantica. Realizzata nel rispetto di quella gerarchia tipica dell’architettura romana, nella quale, a seconda della destinazione d’uso di un ambiente, cambiava il rapporto tra l’alzato e la pianta del vano. La ricostruzione si basa sull’analisi dei ritrovamenti e sui confronti con altre strutture tardoantiche, oltre alla decorazione pavimentale che permette d’ipotizzare la funzione degli ambienti.

La trasparenza del perplex consentiva di sfruttare la luce solare per l’illuminazione degli ambienti, nella struttura di Meli è stato necessario impiantare un sistema d’illuminazione con luci a LED. Dal punto di vista ricostruttivo, la struttura di Meli riproduce più fedelmente l’originaria gerarchia di luci, in ambienti che erano stati progettati per stare in penombra.

Il sistema delle passerelle è stato mantenuto, con opportune modifiche. Nuove passerelle coperte sostituiscono le passerelle metalliche. Alcune sono nuove, create per abbattere gli abbassamenti di quota ed evitare che il percorso conducesse i visitatori a camminare sopra i mosaici. Come accadeva nel corridoio biabsidato della Grande Caccia.

I lavori di realizzazione del progetto di Meli furono eseguiti tra il 2007 e il 2012, ma non vennero mai portati a termine davvero. Ancora oggi molti ambienti hanno la copertura in plexiglass, come la sala dei banchetti (triclinio) e i vani attorno al peristilio ovoidale. Nel triclinio è stata recentemente aggiunta una copertura tramite perline di legno, cosicché si riescono a vedere i mosaici. L’area del complesso termale non è stata oggetto di lavori e risulta ancora oggi inaccessibile alla fruizione.

Nonostante i restauri della Villa del Casale, nell’area archeologica persistono numerose criticità. Il deflusso delle acque piovane, che gocciolano dalle grondaie, continua a essere un problema di difficile soluzione. L’acqua viene defluita attraverso tubi che sfociano alla base dei muri perimetrali della Villa. Questo provoca l’aumento di umidità del terreno, che mantiene un minimo contatto con le tessere dei mosaici, e un ristagno che causa delle incrostazioni ben visibili in alcune pavimentazioni.

Un’ ulteriore problema è causato dagli escrementi dei piccioni, che sporcano e macchiano le tessere dei mosaici. Si è tentato di risolverlo inserendo una sorta di griglia sopra ogni ambiente, anche nell’area del peristilio, per evitare che i piccioni possano penetrarvi. Gli animali però riescono a entrare dalle porte lasciate aperte per consentire il percorso di visita, che potrebbero essere protette tramite una tendina.

È necessario che vengano trovati i finanziamenti per le necessarie opere di manutenzione ordinaria nella gestione di bene culturale come quello della Villa del Casale. La buona gestione di un sito culturale deve mirare alla sua trasmissione, affinché i posteri possano ereditarlo nella forma più integrale possibile. Per questo ogni intervento di conservazione e restauro deve rispondere a quesiti su diversi ambiti, come l’efficienza, la necessità, la reversibilità, la sua capacità di veicolare informazioni. A partire dalla manutenzione ordinaria, meno dispendiosa se ben programmata, rispetto ai restauri straordinari che, oltre a costare di più, sono maggiormente impattanti sui monumenti. Le strategie conservative devono essere le più adatte alle condizioni, allo stato di conservazione, ai processi di invecchiamento e degrado del bene culturale.

Un nuovo progetto di restauro da 9,7 milioni di euro è registrato tra gli interventi da finanziare con il Fondo Europeo Po-Fesr 2014-2020. Questo nuovo progetto dovrebbe portare a termine quello di Meli, permettendo di aprire alla pubblica fruizione quelle aree ancora oggi inaccessibili. Sistemazioni al sistema di drenaggio delle acque, del suolo eroso, fino all’eliminazione della pavimentazione in cemento armato nel peristilio per ricreare un giardino simile a quello che ammiravano gli antichi abitanti e ospiti della Villa circa 1500 anni fa.

Grazie alle condizioni che creeremo per comprendere e apprezzare un sito archeologico si formerà e cementificherà nelle persone quel senso di inclusione e di appartenenza, utile alla creazione della propria identità. E questo ci permetterà di proteggere il nostro patrimonio culturale.

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1 comment

Gianni 5 Giugno 2024 - 04:10
Post eccezionale! Leggerei di più su questo argomento!
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