Il mosaico De Spuches torna a Carini

Dopo aver incantato il principe De Spuches, uno dei mosaici più famosi di età tardoantica è tornato nella sua città, e sarà presto visibile al grande pubblico. Il mosaico si trova già a Carini, nel chiostro dell’ex convento di Sant’Antonino, presso la chiesa di San Rocco

Si tratta del mosaico scoperto casualmente nel 1873 da Giuseppe De Spuches principe di Galati, in Contrada San Nicola nelle campagne di Carini. Il principe ne rimase così estasiato che decise di esportarlo e collocarlo nel suo salotto preferito.

In realtà, quello che chiamiamo “mosaico De Spuches” è una composizione di mosaici. Le parti di questo grande mosaico proverrebbero dai pavimenti di sale diverse, di un unico edificio di età romana.  

La parte centrale ha una decorazione geometrica, intarsiata da ghirlande che racchiudono fiori, e rombi che incorniciano piccole fontane, rami vegetali e colombe; tutto circondato da una fascia con un motivo a onde. Questo mosaico doveva ricoprire una grande sala quadrangolare, decorata nel IV secolo d.C., e modificata con l’aggiunta di un abside databile tra gli ultimi decenni del IV e i primi del V secolo d.C. 

L’abside era decorato con girali d’acanto. Ne sopravvive un frammento, al momento conservato nei depositi del Museo Archeologico Regionale Antonino Salinas di Palermo, ma che troverà il suo posto a Carini. Il frammento sarà posizionato vicino la fascia rettangolare, facente già parte del “mosaico De Spuches”, dove spiccano un cratere fiancheggiato da pavoni, tra girali vegetali, fiori e melograni. 

Ai lati di questi mosaici, il principe De Spuches ha aggiunto 2 fasce decorate con un motivo a cassettoni, tra decorazioni geometriche, fiori e nodi di Sansone. Le due fasce sono state aggiunte probabilmente per adattare il mosaico alle dimensioni della sala del palazzo del principe De Spuches a Palermo.  

Il mosaico composto dal principe ha decorato la sala di Palazzo Galati, situato all’angolo tra Via Cavour e Via Ruggero Settimo, fino al 1975. Quell’anno, Renato Guttuso acquistò una parte del palazzo che comprendeva il salone col mosaico tardoantico. Tuttavia, alla moglie del noto artista siciliano il mosaico non piacque, quindi la coppia non lo acquistò. 

L’antico pavimento musivo finì per essere smontato, e conservato in un magazzino di Palazzo Galati, dove rimase nascosto per oltre 20 anni. Nel frattempo passò di proprietà alla ex SITAS (una società di alberghi) che nel 1999, finita in liquidazione, lo mise in vendita.  

Grazie al diritto di prelazione, la Regione Siciliana ha acquistato il “mosaico De Spuches”. Solo allora il mosaico lasciò Palazzo Galati, e dal 2007 al 2012 rimase collocato nell’Oratorio di San Filippo Neri a Palermo. Ancora oggi la Regione Siciliana ne detiene la proprietà, e ne ha finalmente concesso il collocamento a Carini

Il Comune di Carini ha quindi finanziato il restauro e la creazione di una struttura smontabile, in acciaio e vetro. Si tratta di un padiglione dotato di rampa e passerella sopraelevata, creato appositamente per poter proteggere e fruire di questo bene archeologico

Il restauro, diretto dalla Dott.ssa Ivana Mancino, terminerà entro la fine di ottobre. I lavori comprendono le operazioni di pulizia, di collocamento nella struttura creata ad hoc, e di consolidamento dei pannelli musivi. Inoltre, la documentazione di restauro permetterà di creare dei pannelli esplicativi. Questi illustreranno la storia del mosaico ed evidenzieranno le modifiche che ha subito dai precedenti restauri. 

Il “mosaico De Spuches” infatti, è stato oggetto di diversi restauri. Il primo si deve al principe De Spuches, che doveva rendere presentabile il “nuovo” pavimento del suo salotto, logorato dai secoli passati sotto terra. 

Osservando bene il mosaico si notato le tracce dei restauri. In alcuni punti, le tessere che compongono il mosaico sono più grandi e di un unico colore, senza le sfumature che gli antichi romani sapevano creare accostando piccole tessere in pasta vitrea di almeno quattro colori diversi. In altri punti, la tecnica del mosaico è solo un’illusione: in realtà è dipinto con gli acquarelli sopra uno strato d’intonaco. Quest’ultimo è il risultato dei restauri effettuati nel 2000 dalla ditta Formica. 

Quello che rende così importante il “mosaico De Spuches” è il fatto che potrebbe aver decorato una delle prime, se non la prima, basilica cristiana della Carini romana, Hikkara. La parte centrale del mosaico, con la sua particolare iconografia, avrebbe decorato un’antica basilica paleocristiana. 

Oggi, la tesi più accreditata dagli archeologi è che i mosaici probabilmente decoravano una domus. Il proprietario della domus doveva essere un personaggio ricco e influente, tanto da potersi permettere di abbellire la propria casa con mosaici in pasta vitrea. Ma questa tesi non annulla la precedente ipotesi.  

È possibile che la domus sia stata modificata per accogliere i riti della prima comunità cristiana della città, in qualità di domus ecclesia. Forse il proprietario l’ha donata alla comunità cristiana di Hikkara. Una comunità riunita nell’unico esempio di diocesi rurale in Sicilia, come attesta una lettera di Papa Gregorio Magno del 595 d.C. 

Osservare il “mosaico De Spuches” fa nascere tantissime domande. Quali sono le dimensioni della struttura (che forse era una domus) di età tardoantica? A chi poteva appartenere? Quando è stato costruito questo edificio? E fino a quando è stato utilizzato? Qual era la reale funzione dell’ambiente che il mosaico centrale decorava? L’abside, decorato da un mosaico più recente, quando è stato edificato? E i mosaici delle fasce laterali a quali ambienti appartenevano?  

Purtroppo, la mancanza di uno scavo stratigrafico nel luogo di ritrovamento dei mosaici rende impossibile fare ipotesi più approfondite. Sarebbe opportuno realizzare una campagna di scavo archeologico sul sito, iniziando con un’analisi col georadar, per finire con uno scavo stratigrafico. 

D’altronde, se della città romana di Hikkara abbiamo sempre più testimonianze lo dobbiamo agli scavi, realizzati dalla Cooperativa Archeofficina in collaborazione con l’Università degli Studi di Palermo. Una volta terminati gli scavi sul luogo del ritrovamento del “mosaico De Spuches”, esso troverebbe la sua giusta collocazione. 

Il padiglione espositivo infatti, è una struttura componibile, smontabile e facilmente trasportabile. Adesso si trova nel chiostro dell’ex convento di Sant’Antonino, ma in futuro potrebbe essere spostato in Contrada San Nicola, nel luogo di ritrovamento del mosaico

Che il “mosaico De Spuches” sia tornato a Carini è quindi un primo passo. Ma tanti ancora ne restano da fare per svelare la storia della città e raccontarla ai suoi abitanti e a tutti coloro che vorranno scoprirla

Per questo è importante che la Regione Siciliana e il Comune di Carini abbiano creato le condizioni affinché un ritrovamento archeologico quale il “mosaico De Spuches”, privatizzato, nascosto e quasi perduto, sia finalmente reso pubblico e diventi a tutti gli effetti un bene comune.

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