Il traffico illecito di beni archeologici è un fenomeno che mina le fondamenta della memoria storica e culturale dei popoli. Ogni anno, manufatti inestimabili vengono strappati dal loro contesto originario per essere venduti sul mercato nero. Da lì vengono acquistati per finire in collezioni private o nei musei, senza alcuna certificazione di provenienza e slegati dal loro contesto archeologico.
Solo nel 2023, i Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale (TPC) hanno sequestrato quasi 70.000 reperti archeologici detenuti illegalmente. Insieme a questi, sempre nel 2023, le forze dell’ordine hanno sequestrato 535 reperti archeologici non autentici. Il traffico illecito di beni archeologici è spesso legato alle contraffazioni, con una significativa presenza di falsi sul mercato.
Anche se potrà stupire alcuni, esiste un mercato legale di beni archeologici. Il possesso di reperti archeologici è lecito solo se accompagnato da documenti che ne attestino l’acquisto regolare o il lascito ereditario. L’anno d’acquisto non deve essere posteriore al 1909, a meno che lo Stato non abbia rilasciato il reperto come parte del premio di rinvenimento.
I beni archeologici provenienti dal territorio italiano o ritrovati sui fondali marini delle acque territoriali sono proprietà dello Stato Italiano (art. 91 del Codice dei Beni Culturali e L. 364/1909). Se un privato cittadino scopre un reperto scavando nella propria proprietà non è autorizzato a tenerselo, ma deve denunciarne il ritrovamento ai Carabinieri.
È possibile acquistare legalmente beni archeologici in Italia rivolgendosi ad antiquari e case d’asta di comprovata affidabilità. Tra i nomi più noti nel settore archeologico vi sono Pandolfini, Bertolami e Babuino, che lavorano da molti anni con l’ausilio di professionisti altamente qualificati.
Oltre le luci del mercato legale, esistono le ombre del traffico illecito di beni archeologici. Le sue origini risalgono a secoli fa, quando le guerre e le conquiste spesso portavano con sé il saccheggio sistematico del patrimonio culturale. Oggi, però, questo fenomeno ha assunto dimensioni ben più complesse, legate alle crisi politiche, ai conflitti e alla mancanza di controllo sui territori. Paesi come l’Italia, la Grecia, l’Egitto e la Siria sono particolarmente vulnerabili, data l’enorme quantità di siti archeologici che ospitano.
Un mercato criminale, sorretto dalla mancanza di sicurezza e dal crollo delle istituzioni, che serve anche a finanziare il proseguo delle guerre. Emblematica è la situazione delle città mesopotamiche e siriane che, con le guerre in Medio Oriente, sono diventate facile preda di saccheggiatori e trafficanti.
Diverse sono le modalità con cui i reperti archeologici vengono trafugati. Gli scavi clandestini rappresentano il metodo più diffuso. Sono i cosiddetti “tombaroli”, gruppi organizzati, a scavare e depredare siti archeologici alla ricerca di manufatti da vendere. A volte sono gli stessi abitanti locali, spinti dalla povertà, ad attuare queste operazioni.
Una volta estratti, i reperti entrano nel circuito di commercio clandestino, fatto di ricettatori, intermediari, collezionisti privati e, in alcuni casi, musei disposti a chiudere un occhio sulla provenienza degli oggetti. Il mercato nero ha un giro d’affari nel traffico illecito di beni archeologici stimato in miliardi di euro. Le sue ramificazioni attraversano continenti, alimentate dalla domanda internazionale di oggetti storici.
Il danno arrecato dal traffico illecito di beni archeologici è immenso, e va ben oltre il valore economico dei reperti. I reperti archeologici non sono solo oggetti di valore estetico o economico: sono testimonianze di civiltà, cultura e tradizioni. Effettuare uno scavo illegale crea un danno spesso irreversibile, perché questa pratica sconvolge il sito di ritrovamento che potrebbe offrire informazioni inestimabili. D’altro canto, separare un reperto dal proprio contesto archeologico spezza il legame tra la comunità e la sua storia.
Per contrastare il traffico di beni archeologici, la comunità internazionale ha adottato diverse misure. La Convenzione di Parigi del 1970, ad esempio, sollecita la creazione di corpi armati di polizia specializzati nella tutela dei beni culturali. Di fatto, la Convenzione ha approvato la creazione del Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, avvenuta nel 1969.
La Convenzione UNIDROIT di Roma del 1995 mira a regolamentare il commercio internazionale di beni culturali, promuovendo la restituzione dei reperti rubati ai Paesi di origine. La Convenzione di Parigi del 2001 estende la protezione anche ai beni del patrimonio subacqueo.
Tuttavia, la strada per una cooperazione globale efficace è ancora lunga e irta di ostacoli. Molti Paesi non applicano pienamente le normative, o ne aggirano le disposizioni. Ma il ruolo dell’Organizzazione internazionale della polizia criminale -Interpol e di enti come l’ICOM (International Council of Museums) risulta fondamentale in questa lotta.
Oltre alla legislazione internazionale, accordi bilaterali tra Paesi hanno permesso il recupero di numerosi beni trafugati. Ogni anno vengono restituiti moltissimi reperti archeologici all’Italia, come la phiale di Caltavuturo.
La phiale di Caltavuturo (contenitore rituale d’oro, databile tra il IV e il III secolo a.C.) fu acquistata prima da un collezionista di Catania e poi da uno di Enna. Nel 1991 in Svizzera, William Veres, amico del collezionista ennese, la acquistò, per rivenderla, tramite l’intermediario Robert Haber, al miliardario statunitense Michel Steinhardt. Un’ inchiesta giudiziaria ha permesso il recupero della phiale, che oggi è esposta nell’antiquarium di Himera.
Per monitorare e contrastare il traffico illecito di beni archeologici, oggi possediamo strumenti di controllo molto efficaci. La banca dati dei Carabinieri è la più completa in uso alle forze dell’ordine, a livello internazionale. Nella lotta al mercato illecito, le forze dell’ordine condividono i database, consentendo la raccolta automatica di dati e immagini, provenienti anche dal web. Inoltre, è sempre attivo il monitoraggio delle aste, sia fisiche sia digitali, nazionali e internazionali.
Per combattere il traffico di beni archeologici è importante anche la divulgazione del patrimonio culturale. Nella battaglia per preservare il patrimonio archeologico la sensibilizzazione del pubblico gioca un ruolo cruciale: solo comprendendo l’importanza di questi beni possiamo davvero difenderli.
Il traffico illecito di beni archeologici è un crimine contro l’intera Umanità. Solo un impegno collettivo, che coinvolge governi, istituzioni culturali e cittadini, potrà fermare definitivamente questo saccheggio del passato.
Repertorio fotografico a cura di Antonietta Patti