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LA BATTAGLIA DEL FUOCO

di Enzo Crimi
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la battaglia del fuoco incendi nella vegetazione

NELL’EPOCA DEL “PIROCENE” LA SOLUZIONE AGLI INCENDI
NON SI TROVA D’ESTATE

Il mio primo pensiero in questo elaborato è per tutti coloro che sono caduti nello spegnimento incendi e sono vicini a Dio e anche per le loro famiglie.

Enzo Crimi – già Commissario Superiore del Corpo Forestale della Regione Siciliana, saggista, divulgatore ambientale e naturalista, esperto di problematiche del territorio.

Ogni anno nell’UE si verificano oltre 60. 000 incendi di vegetazione e si stima che le zone divorate dal fuoco corrispondono in media a mezzo milione di ettari, con perdite economiche stimate in circa 2 miliardi di euro. Il fuoco è una rapida combinazione dei seguenti tre elementi: combustibile e cioè una sostanza che potenzialmente arde e brucia, ossigeno o comburente e temperatura-calore necessaria alla formazione del fenomeno. Si tratta di una sorta di “triangolo del fuoco” che è un termine utilizzato dagli addetti ai lavori per rappresentare e comprendere efficacemente il processo della combustione.

Non si ottiene il fuoco se manca uno di questi tre elementi o se manca la combustione, che in un bosco o luogo all’aperto è un fenomeno irrealizzabile naturalmente. Quando un fuoco viene attivato dall’uomo e sfugge al suo controllo e si propaga consumando i combustibili naturali di un bosco, diventa incendio di vegetazione, un fenomeno tanto semplice quanto complesso e ostico, che certamente interessa tutti i paesi mediterranei ed in particolare il nostro territorio nazionale che ogni anno perde migliaia di ettari di superficie boscata.

Nel 2023, identificato come “stagione dei grandi incendi boschivi” a scala nazionale, la Sicilia risulta la Regione con la maggior superficie percorsa da incendi sia come area generale divorata dalle fiamme, che come area a copertura esclusivamente forestale. Gli incendi oltre ad apportare imponenti danni al patrimonio economico delle comunità, contribuiscono al grave depauperamento della biodiversità animale e vegetale presente sul territorio, sono causa di disastri ambientali difficilmente quantificabili a breve termine, in quanto determinano il disboscamento e rischio alluvioni, il degrado ecologico e una progressiva desertificazione del territorio che concorre alla modificazione irreversibile del clima e dell’ambiente.

Secondo un recente report a livello nazionale dell’Arma dei Carabinieri Forestali e ancor prima del Corpo Forestale dello Stato, il 57,5% circa degli incendi boschivi in Italia sono dolosi, ovvero, riconducibili alla deliberata volontà di appiccare il fuoco per recare danno all’ambiente e alle cose, causate da azioni umane volontarie. Il 13,7% di incendi é dovuto principalmente a cause involontarie colpose causate da azioni umane, il 26,9% riconducibili a cause indeterminate non classificabili e l’1,9% sono dovute a cause naturali.

Alle nostre latitudini non possiamo certo parlare di autocombustione generalizzata, tuttavia, questo fenomeno può capitare per l’ossidazione enzimatica che può verificarsi in casi eccezionali solo nei fienili. Naturalmente, la ripartizione relativa di queste motivazioni varia a seconda della posizione geografica, di usi del suolo tradizionali ed in particolare, al ruolo essenziale di specifici aspetti socio-economici, culturali, che purtroppo scaturiscono dallo scarso senso civico e da una marcata presenza di illegalità diffusa e consapevolezza dell’impunità, in particolare nelle zone del mezzogiorno d’Italia, dove più accentuato è il divario culturale relativo alle problematiche ambientali.

MA COSA POSSIAMO FARE CONTRO GLI INCENDI BOSCHIVI?

Il fuoco é la macchina più potente esistente in natura e il suo potere distruttivo è enorme, tuttavia, forse questi scempi causati dagli incendi si potrebbero evitare o quanto meno mitigare e rendere fisiologici, basterebbe un’ottima prevenzione attraverso il governo attivo del territorio, è provato che dove ci sono attività preventive, gli incendi calano drasticamente. Gli incendi di vegetazione sono oramai una guerra che bisogna combattere con la prevenzione e si potranno raggiungere buoni risultati nella lotta a questo devastante fenomeno solo quando si capirà che le battaglie del fuoco si vincono cambiando il solito paradigma alquanto semplice, altamente costoso e privo di risultati apprezzabili, ovvero, “incendio – spegnimento e solita caccia all’incendiario di turno”, tralasciando il vero problema che è la messa in opera di idonee opere di prevenzione prima di ogni estate.

In realtà, la soluzione del fenomeno incendi non si trova d’estate e bisogna finirla di essere spettatori stoici della fatalità perdente, tralasciando il vero problema che è la messa in opera di tutti i sistemi che abbiamo per adattarci agli effetti di questo catastrofico fenomeno. Invertire questa tendenza si può, bisogna solo avere l’umiltà di capire che la repressione non può bastare per combattere questo fenomeno nefasto. Prevenire gli incendi boschivi conviene meglio che spegnerli e la collettività risparmierebbe molto, bisogna applicare la prevenzione come metodo di modifica delle condizioni fisiche e sociali di maggiore pericolo degli incendi e come studio delle probabilità e dei modi di propagazione del fuoco e pianificazione delle strutture di difesa.

La prevenzione si basa su alcune principali linee di azione organizzate pre-estive che agiscono sulle cause predisponenti mediante la programmazione di piani di previsione e prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi e della vegetazione. In Italia siamo diventati una popolazione in prevalenza urbana e conosciamo poco il bosco e i suoi meccanismi dunque, è venuta meno una cultura attiva forestale ed è giunto il momento di riacquistarla. Bisogna recuperare la gestione attiva del bosco attraverso interventi mirati ed ecosostenibili, sia di natura ambientale ma anche economica, in modo da coinvolgere le comunità montane presenti sul territorio, affinché possano avviare o consolidare le loro attività economiche sostenibili, asservendole al benessere dei boschi.

Siano essi di matrice dolosa o colposa, gli incendi sono spesso il frutto dell’incuria, dunque, i boschi vanno curati attraverso una buona pianificazione di interventi diretti, a partire dalla selvicoltura preventiva. L’obiettivo della selvicoltura preventiva è proprio quello di ridurre l’infiammabilità del bosco per aumentare la resistenza agli incendi, accelerare la ripresa della vegetazione e migliorare la sicurezza delle operazioni antincendio.

Alcuni interventi preventivi riguardano, ad esempio, la creazione di viali tagliafuoco e ove possibile, di radure per aumentare la discontinuità strutturale del bosco, riducendo la presenza di materiale combustibile e quindi limitando la propagazione degli incendi. Un’altra tecnica di selvicoltura preventiva utile al contrasto degli incendi boschivi è la scelta della specie, l’eterogeneità e disetaneità diffusa del bosco che può rallentarela propagazione delle fiamme. La cultura forestale, la conoscenza e la competenza silvocolturale, sono la strada maestra da percorrere come misure preventive che richiedono una lunga pianificazione, ma rappresentano sicuramente lo strumento più efficace per salvare i nostri boschi.

Il fenomeno incendi è molto condizionato oltre che dai combustibili che possono essere rapidi o lenti, anche dalle condizioni climatiche, dall’orografia del terreno ed in forma indiretta ma determinante, dal progressivo abbandono rurale delle campagne da parte dell’uomo. Un tempo, attraverso la sua presenza permanente sul territorio, dove conduceva le varie pratiche agronomiche e silvo-colturali, l’uomo era attento e vigile riguardo le cause scatenanti del fuoco, dunque, rendeva il bosco meno soggetto agli attacchi degli incendi. Ogni terreno veniva coltivato e capillarmente gestito (si pensi all’agricoltura, al pascolo e sfalcio di vaste porzioni del territorio e all’abbruciamento controllato delle restoppie e residui vegetali).

Oggi l’abbandono delle campagne con conseguente crescita incontrollata di una “complessità disordinata di soprassuolo vegetale” sul quale non vengono mai effettuati interventi di pulitura, ma anche l’incuria territoriale che determina l’assenza di dispositivi antincendio, la precarietà di piste, stradelle forestali utili agli automezzi antincendio e l’accumulo di combustibile vegetale secco e morto, crea condizioni di scarso presidio e controllabilità del territorio, in particolare una volta che viene innescato l’incendio.

Infatti, minor governo del territorio significa dare spazio ad un processo dannoso sostenuto dalle fiamme che a volte si propagano facilmente a causa del forte vento, ma anche per abbondanza di arbusti e cespugliato. Questo combustibile vegetale alimenta, accresce e facilita la propagazione degli incendi che non raramente, nella loro evoluzione possano assumere la “…suscettività a espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate poste all’interno delle predette aree, oppure su terreni coltivi o incolti e pascoli limitrofi a dette aree…”(Legge 353/2000) con conseguente apprensione per le popolazioni interessate.

Per come emerge nelle indagini post-incendio degli addetti ai lavori, solitamente l’inizio dell’evento-reato incendio si sviluppa propriamente nei terreni dove vi è abbondanza di combustibile vegetale e assenza di attività silvocolturale. Succede che nella sua distruttiva dinamica il fuoco, dopo avere iniziato il suo percorso in tali zone incolte, pascolive, o ancora peggio dove il territorio è abbandonato all’incuria, si riversa nelle aree boscate spesso limitrofe, per fare scempio della superficie arborea. Pertanto, nelle aree a rischio incendio ed in particolare su piste e stradelle rurali di penetrazione, devono essere posti in essere lavori finalizzati all’eliminazione del cespugliame secco, spesso impenetrabile e abbandonato a se stesso e assai ostacolante per i mezzi antincendio che devono muoversi con agilità.

Il disordine vegetazionale, ancor più se secco, rappresenta un pericoloso deposito di combustibile e punto d’innesco alla mercé di qualunque incendiario, esattamente come spesso avviene, dunque, sarebbe auspicabile riportare l’uomo nelle campagne in modo che diventi la sentinella del proprio territorio. Il presidio delle campagne, che dovrebbe essere il nuovo modello nella prevenzione degli incendi di vegetazione, dimostra come la presenza di aree rurali ben organizzate potrebbero contribuire al buon governo del territorio ai fini antincendio.

Lo Stato, le Regioni, i Comuni, insomma, tutte le Istituzioni con competenza territoriale e con disponibilità diretta o indiretta di risorse disponibili ed impiegabili contro gli incendi, dovranno predisporre le proprie capacità in base ad un ben preciso piano definito attraverso un apposito schema e certo, tenendo debitamente conto della perenne penuria di risorse finanziarie.

Dunque, la battaglia del fuoco, ancor prima della lotta diretta agli incendi dei boschi e della vegetazione, si vince soprattutto con la presa di coscienza dell’entità del fenomeno con conoscenza delle componenti ed individuazione di un progetto di intervento che primariamente sia consapevole delle disponibilità delle risorse antincendio (mezzi, uomini, tecnologie, attrezzature, viabilità, punti idrici et.).

La prevenzione è anche pianificare i necessari interventi mediante la predisposizione preventiva attraverso un attento censimento sul territorio, di idonei invasi e prese idriche da servire per l’approvvigionamento dei mezzi antincendio. Gli incendi si combattono anche attraverso la predisposizione di un sistema organizzato e standardizzato di lotta efficace, attraverso l’attivazione di lavori silvocolturali di ripulitura e di costante vigilanza sul territorio ai fini del controllo del fenomeno degli incendi, ma anche in modo da pervenire ad un paesaggio più resistente e resiliente al fuoco. Ove possibile, bisogna agire con interventi di vigilanza sull’Uomo che direttamente o, il più delle volte, con comportamenti irrazionali, diventa responsabile dell’incendio.

Per prevenire gli incendi boschivi, occorre altresì passare alla idea della “Prevenzione civile” come chiave di cambiamento e le Istituzioni devono spingere per un riacquisto del senso civico generale e motivare il pubblico a rispettarli ed evitare ogni azione pericolosa e possibilmente a collaborare alla loro difesa. Per questo diventa auspicabile acquisire una sempre più diffusa sensibilità e negli anni costruire una conoscenza culturale verso l’ambiente, in quanto e sotto gli occhi di tutti che oggi l’azione preventiva più proficua contro gli attacchi che subisce il nostro territorio è l’educazione all’ambiente e le finalità di tale attività educativa si raggiungono attraverso la promozione, pubblicizzazione e spiegazione dei principi basilari, che stimolino una corretta fruizione e rispetto del territorio naturale.

L’educazione ambientale è uno straordinario valore aggiunto alle dotazioni culturali dell’uomo, un potente strumento con il quale si acquisiscono culturalmente comportamenti e propensioni necessari per comprendere ed apprezzare il binomio eco-compatibile uomo-ambiente, che si realizza attraverso una sincera passione interiore e una meditazione continua sulla conoscenza delle bellezze naturali e del loro corretto uso e salvaguardia in modo sostenibile. Bisogna che l’educazione ambientale venga concepita come una sorta di rivoluzione culturale, una strategia globale che porti a produrre cambiamenti significativi nei comportamenti umani che interessano l’ambiente e che ridefiniscano i valori culturali, sociali, politici ed economici.

In questa nostra società contemporanea confusa e distratta, passiva e priva di etica e stordita dalla miserissima situazione politica, attratta solamente dall’effimero, dobbiamo infondere ai nostri giovani qualcosa di innovativo che li sorprenda, che li coinvolga sia sul piano cognitivo che su quello emotivo. Bisogna creare nelle nuove generazioni una coscienza educativa, che pur non agendo concretamente sulle problematiche, certamente agisce a livello formativo nella loro mentalità che nel tempo può garantire una efficace protezione dei valori naturalistici del territorio che si intrecciano necessariamente con l’educazione alla legalità.

Dunque, serve un salto culturale che ci renda consapevoli della gravita del fenomeno e dei danni che esso arreca al territorio e alle popolazioni locali, pertanto, si dovrà finalmente investire in prevenzione in modo da risparmiare in repressione. Io credo che bisogna riunire, organizzare e mettere in azione le coscienze, in modo che la voce unitaria si alzi forte e chiara e crei una sola forza moltiplicatrice che rivendichi l’irrinunciabile diritto all’ambiente. Bisogna quindi informare e formare l’Uomo, in particolare in giovane età, che importante è il rispetto delle regole e riconoscere ed accettare un mondo di regole non è difficile e faticoso.

Insomma, bisogna cambiare modello e proporre una nuova visione degli elementi naturali, attraverso l’attivazione di un serio processo di educazione ambientale che coinvolga ogni elemento o entità privata o Istituzionale e soprattutto le scuole e gli studenti che sono il nostro prossimo futuro, i quali, devono partecipare alle decisioni che si intraprendono nell’interesse del territorio, in modo che diano un contributo alla crescita della cultura dell’ambiente che come sappiamo è anche cultura della legalità. La scuola deve proporre un orientamento culturale con il compito, tra l’altro, di educare con un rafforzamento mirato dell’educazione civica, perché è risaputo come il nostro territorio spesso sia sottoposto ad attacchi degradanti di ogni genere che certo non possono essere definiti edificanti.

Ma perché la componente educativa? Perché questa disciplina culturale, ci indica gli strumenti più appropriati per un approccio ottimale, semplice e uniforme nei linguaggi e comportamenti collettivi di massa, un percorso virtuoso che attraverso parametri culturali, indirizzi verso un rapporto relazionale rispettoso tra l’uomo e l’ambiente. Attraverso una fruizione eco-sostenibile, bisogna rispettare la natura e tutte le forme del creato che ci circondano, in modo da riscoprire il modo equilibrato e compatibile di vivere con il nostro ambiente.

Il disastroso fenomeno degli incendi di vegetazione che torna puntualmente alla ribalta ogni estate, rappresenta una grave piaga per il nostro pianeta, un fenomeno che si accentua nelle regioni mediterranee ed in particolare in quelle meridionali compresa la Sicilia, dove immediatamente emerge la fragilità e lo stato di abbandono ed incuria in cui versa il territorio.

Come è noto, la Sicilia, essendo una Regione a Statuto Speciale, dal 1972 gode di totale autonomia amministrativa e nel rispetto delle norme statali e comunitarie relative alla previsione e prevenzione del rischio di incendi attraverso il Corpo Forestale Regionale e i suoi pochi uomini, i quali, giuridicamente e per passione professionale, sono impegnati nell’assicurare il proprio contributo in termini di lotta preventiva, attiva e coordinamento degli interventi di spegnimento.

Tuttavia, mentre si assiste ad un aumento del deleterio fenomeno degli incendi boschivi, ogni anno che passa, si registra sempre più la consolidata insufficienza di personale in divisa, ma anche la precarietà di mezzi e finanze che concorrono in modo non indifferente nel ritardo dell’attivazione di tutto il dispositivo antincendio, compresi uomini e mezzi. Vorrei sbagliarmi, tuttavia, visto lo stillicidio periodico di notizie o promesse della politica, visti i precedenti alquanto sconfortanti e analizzando alcuni segnali inquietanti, si può pensare ad una fine annunciata, senza poter vedere realizzato il sogno di un Corpo Forestale rinnovato negli uomini, nei mezzi e anche nelle funzioni.

Spesso si pensa che nel Corpo Forestale siano in attività migliaia di Agenti e Sottufficiali in divisa, scambiando queste figure professionali altamente specializzate con gli operai forestali che sono altra cosa. Infatti, a fronte di una pianta organica che dovrebbe avere almeno 1380 unità, le risorse umane complessive del Corpo Forestale in tutta la Sicilia sono meno di 393 unità, in gran parte sulla via della quiescenza e comunque ampiamente carenti per una lotta agli incendi proficua. Si diventa forestali solo attraverso una lunga esperienza e strategia tecnica preventiva e repressiva, insomma, per affrontare gli incendi boschivi, occorre uno straordinario bagaglio culturale di competenze tecniche che solo gli uomini del Corpo Forestale detengono, perché acquisite nelle Scuole Forestali, nei corsi di formazione e aggiornamento dedicati e sul territorio montano.

Dibattendosi in questa insana indifferenza, il Corpo Forestale della Regione Sicilia, difficilmente potrà sopravvivere a lungo e adempiere ai propri compiti come fa dal 1972, insomma, devo confessare che non vedo luci in fondo a questo tremendo tunnel. L’abbandono del territorio e la carenza di perlustrazione e vigilanza a cura del Corpo Forestale, rimasto privo di uomini e mezzi, risorse e caserme forestali chiuse o che chiudono per mancanza di personale, accentuerà le sofferenze dell’ambiente, già colpito pesantemente dal fenomeno del decadimento e della smobilitazione.

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