La missione di José Borjés nel settembre del 1861 per riconquistare il Regno delle Due Sicilie

La campagna di annessione e conquista del Regno delle Due Sicilie ebbe la durata poco più di undici mesi. Le vicende belliche spesse volte furono alterne ed iniziarono con lo sbarco garibaldino a Marsala (11.5.1860) dalle navi Piemonte e Lombardo (quest’ultima venne saccheggiata dalla cittadinanza dopo che si era arenata nei bassi fondali del porto). Con l’instaurazione della dittatura di Garibaldi a Salemi due giorni dopo la battaglia di Calatafimi, i mille successivamente entrarono a Palermo dove le barricate erano numerosissime e gli scontri intensi. R. Pilo trovò la morte a S. Martino delle Scale in uno scontro con le guardie svizzere borboniche e l’ungherese L. Tukory fu ferito a morte a porta S. Antonino. Il 10 giugno due navi sarde vennero catturate all’isola d’Elba e condotte a Gaeta. Il 20 luglio la battaglia di Milazzo portò Garibaldi, dopo essere scampato alla morte, alla conquista del castello. Da lì dopo lunghe vicissitudini, il 7 settembre entrò a Napoli, dove l’ordine pubblico venne assicurato dalla camorra, su delega del ministro di polizia L. Romano. In Sicilia a ottobre venne instaurata la pro dittatura di A. Mordini. Il 2 novembre capitolò Capua, il 14.2.1861 Gaeta, il 13.3. la fedelissima Messina. Sempre a marzo Cosenza si sollevava contro i piemontesi. Da quel momento i moti popolari si protrarranno per diversi anni. Avranno fine con la rivolta del sette e mezzo del settembre 1866 a Palermo. Il cambiamento politico era avvenuto grazie anche allo spargimento di tanto oro da parte dell’Inghilterra, che sosteneva il Piemonte e con la corruzione di alti funzionari.

L’unità d’Italia doveva avvenire necessariamente ma non in questo modo che avrebbe svantaggiato una nazione che da duemila anni era stata sempre unitaria. Ciò portò il meridione ad un reale degrado grazie ad una serie di provvedimenti impopolari e gravidi di risultanze negative. I tre quarti dell’oro delle casse del nuovo stato provenivano dal sud. Vennero introdotte svariate tasse e la coscrizione obbligatoria di 4 anni, a discapito della popolazione e della campagna. Venne abolito il tradizionale diritto d’uso delle terre demaniali da parte dei contadini. La chiusura delle manifatture dei tabacchi, che portò il monopolio al nord, fece aumentare la disoccupazione. La forzata cessazione di attività delle industrie tessili del napoletano o della fonderia di Mongiana, delle fabbriche di armi della Calabria a Stilo e alla Serra, produssero lo stesso effetto.  Queste tematiche sociali porteranno alla fine del secolo allo scontro di classe e all’emigrazione.

La speranza di una restaurazione non era finita, anche se era passato del tempo, i legittimisti tentarono di riorganizzarsi affidando l’onere della missione impossibile al generale carlista spagnolo José Borjés (1813-1861). Il carlismo è un movimento monarchico legittimista, cattolico tradizionalista che politicamente afferma la reazione antiliberale, quindi contro-rivoluzionario. Il pensiero si basa sul lemma: Dio, Patria, Fueros, (cioè gli usi e costumi giuridici della comunità) e Re, non per la persona o la dinastia ma in quanto rappresentante della Corona. Borjés fu l’espressione morale e politica più alta della Catalogna. Fedelissimo, capo coraggioso, condottiero brillante, abile stratega, ardente di fede religiosa, di natura aristocratica-cavalleresca, conoscitore della guerriglia, uomo di grande carisma, reduce dalle vittorie contro i rivoluzionari a Solsona e Ripoli in Spagna.

Il movimento legittimista europeo approvò l’impresa, poiché vide rivivere lo spirito cattolico della Vandea e appoggiò condividendole le scelte prese nella sede del governo in esilio dei Borbone a Palazzo Farnese a Roma e dal comitato borbonico di Marsiglia. Le correnti ideologiche che spinsero all’azione erano due: una aristocratica (Trono e Altare) l’altra popolare (Dio e Re), queste tendenze vennero chiamate romantiche da B. Croce, che ridusse gli alti “Ideali” o il Credo cattolico a puri sentimenti, avulsi da una ragione indotta dalla verità. Certamente le spinte contro-rivoluzionarie non si piegano ad una pretesa intellettualistica astratta.

Borjés partì da Marsiglia e passato da Malta, finalmente il 13.9.1861 sbarcò a Brancaleone sulle coste ioniche della Calabria. Egli ricevette il compito di coordinare i vari gruppi contrari alla Rivoluzione Nazionale, affinché con questi potesse formare un esercito. La piccola compagnia  era composta dal luogotenente francese  A. Langlois, 18 ufficiali spagnoli e 2 meridionali. La marcia ebbe inizio e scopo della prima operazione era il ricongiungimento con le truppe del brigante Carmine Donatello Crocco di Rionero  nel Vulture, che da caporale fu arruolato nel reggimento di artiglieria a Palermo e poi da sottoufficiale, a fianco di Garibaldi aveva partecipato alla seconda guerra di indipendenza.

Il termine brigante oltre al significato attribuito a chi vive fuori dalla legge, nella storiografia ha assunto una valenza spregiativa, ascritta a tutti coloro che si erano opposti, da insorgenti, con le armi al nuovo ordine instaurato dalla rivoluzione francese, per difendere la loro patria e la loro religione.

Subito dopo la costituzione del Regno d’Italia i briganti rimasero senza guida politica, poiché i nobili lealisti si erano rifugiati all’estero per le dure persecuzioni. Moltissimi ufficiali e soldati borbonici erano stati deportati nei campi di concentramento del Piemonte. La repressione del generale Cialdini nei confronti dei reazionari, fino all’ottobre dello stesso anno, portò  alla fucilazione di 8.968 persone, fra cui 86 sacerdoti e all’uccisione di cento donne e bambini. La successiva legge Pica contro il brigantaggio, con i rastrellamenti, gli incendi di interi villaggi e paesi provocò l’uccisione di 13.000 esseri umani.

La lunga marcia di Borjés proseguì per tutta la Calabria tra stenti e pasti occasionali; una sola notte poté dormire al coperto. Rifugiatosi sull’Aspromonte venne attaccato dal brigante Ferdinando Mittica, che lo arrestò e disarmò, in quanto diffidente di questo straniero che lo avrebbe dovuto comandare. Ma l’esercito italiano attaccò il brigante e Borjés, in questo contesto, il comandante spagnolo riabbracciò le armi e riuscì a svincolarsi dall’accerchiamento. Alcuni briganti lo seguirono ed il 9 ottobre venne occupata Catanzaro, capoluogo della Calabria Ultra, per breve tempo, poiché dovette darsi alla macchia in Sila per più di un mese. Questo territorio era controllato dal brigante C. La Galla, che non volle mai sottomettersi all’autorità del Borjés. Questi era già entrato in Lucania per incontrare Carmine Crocco. L’appuntamento non fu tra i più felici ma finalmente iniziò una collaborazione fra i due. Infatti lo stesso giorno venne occupata Trivigno, in posizione imprendibile che domina il Basento. In questa città organizzò in modo più ottimale il suo esercito, rimanendovi due settimane. In pochi risposero alla chiamata alle armi, era trascorso troppo tempo dalla caduta di Napoli e Borjés in precedenza lo aveva sottolineato. Alla fine reclutò circa 1.400 uomini, la maggior parte contadini e briganti ai quali si erano aggiunti ex militari borbonici.

Seguirono le vittorie di Acianello, 10 novembre, con la perdita di sei legittimisti e l’uccisione di quaranta militari italiani che ebbero anche sei prigionieri. Il capitano della spedizione antiborbonica, Icilio Pelizza, venne ucciso dallo stesso Borjés e decapitato contro il suo volere dai briganti. La marcia proseguiva per la conquista di Potenza, precedentemente erano state occupate Grassano, Menfi e Vaglio. Il 14 agosto viene conquistata Toppacivita. Trivigno fu occupata il 3 novembre. Sarà a Pietragalla che verrà segnata la sorte di Borjés. In prossimità di quella città avrebbe dovuto ricongiungersi con i briganti delle Murge e della Capitanata. Nel centro abitato la lotta si protrasse casa per casa, la popolazione da sempre sostenitrice del liberalismo si oppose al Borjés. Qui avvenne un fatto strano: il tradimento di Crocco, infatti durante la lunga battaglia in un momento molto favorevole ai legittimisti, improvvisamente si udirono dei forti e nitidi squilli di trombe, che indicavano la ritirata…(forse gli stessi di Calatafimi?).

La storiografia ufficiale parla di tante trombe, raccolte da tutte le parti e suonate dalla guardia nazionale del paese vicino che accorreva in aiuto della nuova “Gerico”. Concretamente il segnale di ritirata era stato dato da Crocco.

Alla fine la compagnia si sciolse, dopo che Borjés venne spogliato durante il sonno, di tutti gli averi e documenti della spedizione, quindi abbandonato con i pochi fedelissimi. Da quel momento il generale spagnolo pensò di raggiungere Roma attraverso l’Abruzzo. L’ardimento e l’abilità tattica, che lo distingueva, fecero si di non cadere nelle mani del nemico sin dallo sbarco in Calabria. Le truppe italiane lo braccarono sin da quel momento ma lui si dileguò sempre tra i boschi e le campagne del meridione. Sempre per tradimento fu arrestato a Carsoli (L’Aquila) in un casolare dato alle fiamme dagli italiani, dopo un conflitto a fuoco che provocò quattro morti tra le sue fila e cinque fra i bersaglieri. Condotto a Tagliacozzo venne fucilato l’8 dicembre, in piazza dell’Obelisco, mentre intonava, in catalano una preghiera rivolta ai Sacri Cuori di Gesù e Maria. Furono fucilati undici spagnoli e otto duo siciliani. I cadaveri vennero bruciati, tranne quello di Borjés. Grazie all’interessamento del Principe di Scilla Fulco Russo e l’intervento del gen. La Marmora, due mesi dopo, il corpo del condottiero fu esumato e trasferito a Roma, dove nella chiesa del Gesù si celebrarono le solenni esequie.

L’otto dicembre 2003 sul posto dell’eccidio l’amministrazione di Sante Marie, nel prato antistante la cascina Mastroddi, fece erigere una nuova lapide, con la quale si ricorda l’accaduto, in termini più oggettivi, in sostituzione  di quella posta nel 1966. Nel 2011 a Tagliacozzo venne eretto un busto raffigurante il generale.

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