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La Sicilia fra le dominazioni e la Rivolta dei Vespri

di Esther Di Gristina
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Federico Ruggero di Hohenstaufen, Re di Sicilia e Duca di Svevia col titolo di Federico VII, fu Imperatore dei Romani col titolo di Federico II. Dopo la sua morte, avvenuta a Castelfiorentino in Puglia il 13 dicembre 1250, per la Sicilia seguì un lungo periodo politico instabile e incerto.

Il Papato per evitare di essere soffocato dalla “morsa sveva”, dal Nord e dal Sud, pensò all’alternativa “francese” per risolvere il problema siciliano. Ma nel 1258 la Voluntas Siculorum si espresse a discapito delle intenzioni del pontificie: col suo Parlamento, riunito a Palermo, incoronò Re lo svevo Manfredi, figlio di Federico II.

Papa Clemente IV aveva destinato la Corona di Sicilia al Conte francese Carlo d’Angiò che era fratello di Re Luigi IX di Francia. Lo scontro fu inevitabile e avvenne nel 1266 con la battaglia di Benevento fra Angioini e Svevi. Manfredi fu sconfitto e ucciso e l’ultima speranza degli Hohenstaufen rimase nel nipote quattordicenne Corradino. Due anni più tardi, nella “battaglia di Tagliacozzo” Corradino venne sconfitto e decapitato, a Napoli.

Con straordinaria abilità, Carlo d’Angiò riuscì a diventare il sovrano più importante d’ Europa. E per la Sicilia inizio così il periodo Angioino che durò dal 1266 al 1282. Come ogni invasore della Sicilia, anche Carlo d’Angiò trovò l’appoggio del tessuto locale. Ma molti eminenti siciliani, pieni di risentimento verso il governo locale, erano sempre pronti a chiedere aiuto allo straniero, contro i nuovi governanti, e così via finché un nuovo dominatore non tentava di rifarsi delle spese sostenute per l’invasione, dando così via a un nuovo ciclo di vendette e ribellioni.

Quasi sempre, la popolazione siciliana fu internamente divisa e molti erano pronti ad approfittare di qualsiasi cambiamento dinastico per sostenere i propri interessi privati. Ci vollero alcuni anni di guerra civile prima che Carlo d’Angiò potesse affermare di controllare i principali centri di Calabria e Sicilia. Fu così, che il feudalesimo angioino assunse in parte l’aspetto di una guarnigione militare occupante di una provincia ostile. Carlo d’Angiò inviò in Sicilia il più spietato dei suoi luogotenenti: Guglielmo l’Etendart che con pragmatica efferatezza domò l’isola nel 1270.

Il Regno Angioino in Sicilia non fu felice, il nuovo Re vi soggiornò una sola volta in 12 anni, nel 1270, perché era di passaggio. Il Re di Sicilia doveva raggiungere l’Africa settentrionale, dove il fratello Luigi IX Re di Francia (conosciuto semplicemente come San Luigi) era impegnato nell’VIII Crociata contro gli infedeli musulmani. Per Carlo d’Angiò le province continentali costituivano una residenza più gradevole.

I siciliani erano una popolazione che nutriva un fiero senso di indipendenza e così nessun parlamento generale vi si riunì durante il regno Angioino. Imperdonabile agli occhi dell’aristocrazia isolana fu l’accentramento della vita pubblica a Napoli, che divenne la capitale del Regno.

Inoltre, la politica fiscale instaurata dagli angioini fu pressante. L’estremo bisogno di denaro per finanziare la vagheggiata impresa militare contro l’Impero Bizantino fece imporre ai siciliani le monete dette “Biglioni”. A tutto ciò si aggiunga la forzata coabitazione con i militari francesi, che i siciliani dovevano subire nelle loro case con le loro famiglie.

La Sicilia dovette ribellarsi contro Carlo d’Angiò, come non si era mai ribellata. E furono soprattutto le imposte e la mancanza di riguardo verso i sentimenti locali a generare l’esplosione della rivolta.

La rivolta si accese il 30 marzo 1282, giorno di Pasquetta. Durante la solennità del Vespro (cioè la preghiera del tramonto) un soldato francese di nome Drouet mise le mani addosso a un’avvenente sposa siciliana che passeggiava con suo marito vicino alla Chiesa di Santo Spirito (oggi inglobata nel cimitero urbano di Sant’Orsola), con la solita scusa di cercare armi nascoste sotto le vesti. In un momento d’ira incontrollata il francese fu ucciso. L’assassinio diede via a una rivolta irrefrenabile del popolo palermitano. Erano in gioco i sentimenti della più violenta xenophobia.

Anche se privi di uno scopo costruttivo, ogni straniero tradito dall’accento venne ucciso. Molte migliaia di francesi vennero uccisi in poche ore. I conventi furono occupati; monaci, vecchi e bambini massacrati. Persino le donne sospette di essere state ingravidate da un francese furono uccise.

Solamente i successivi sviluppi politici resero possibile esaltare un orribile massacro come uno degli avvenimenti più gloriosi della storia siciliana. Tuttavia, i siciliani cacciarono via i francesi dall’isola con le sole loro forze, e il massacro di Palermo aveva ormai indebolito il potere del Papato e distrutto le speranze di un impero mediterraneo per Carlo d’Angiò.

Per lealtà dinastica, cacciati i francesi il Parlamento siciliano chiamò al trono di Sicilia Rè Pietro III d’Aragona. Il sovrano aragonese aveva sposato Costanza di Svevia, figlia di Re Manfredi e quindi legittima erede del regno. Iniziò così un’altra pagina di storia della Sicilia, il “periodo aragonese”, dal 1282 al 1412.

Il Regnum Siciliae ebbe un nuovo confine fino allo Stretto di Messina. La Calabria, che per secoli era stata unita con l’isola di Sicilia, fu congiunta al Regno di Napoli. Per la Sicilia, la separazione da Napoli fu sia una vittoria, sia una sconfitta.

Da un lato, la rivolta dei Vespri fu il simbolo di resistenza all’oppressione straniera e di affermazione dell’identità siciliana. Anche se la Sicilia passò sotto il dominio aragonese, la rivolta lasciò un messaggio di autonomia e orgoglio locale che avrebbe continuato a influenzare la storia dell’isola.

Tuttavia, i vincoli con l’Italia furono parzialmente troncati, proprio quando la Storia d’Italia stava entrando nell’era dell’oro e della cultura. Per un secolo la Sicilia rimase al bando di Roma, con i suoi capi scomunicati e le sue chiese interdette, mentre per quattro secoli rimase congiunta non con la penisola italiana ma con quella iberica. I siciliani si sottomisero alla sovranità della Spagna poiché l’assenza di una politica comune impediva di realizzare una guerra per l’indipendenza.

Inoltre, la rivolta dimostrò come le potenze straniere potessero intervenire nelle lotte interne italiane per raggiungere i propri obiettivi politici. L’Aragona sfruttò abilmente la situazione, un precedente che sarebbe stato seguito da altre potenze europee nei secoli successivi. La Corona d’Aragona ha dominato la Sicilia per secoli, segnando un cambiamento significativo negli equilibri di potere nel Mediterraneo.

La rivolta dei Vespri Siciliani non fu solo una reazione al malgoverno degli Angioini, ma rappresentò anche un’importante affermazione politica e sociale. L’evento segnò una svolta nella storia dell’isola e influenzò la geopolitica del Mediterraneo, contribuendo a ridefinire i rapporti di forza tra le potenze europee.

La rivolta dei Vespri Siciliani divenne un esempio storico di resistenza popolare contro un’oppressione percepita come ingiusta. Questo episodio fu evocato in epoche successive, anche in contesti diversi, come simbolo della lotta per la libertà e contro la tirannia.

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