La Rivoluzione Siciliana del 1848-1849 fu la prima rivolta popolare a scoppiare in Europa, avviando quell’ondata che venne definita Primavera dei Popoli. La Rabbia in città, che scaturì in rivolta popolare nel 1848, fu caratterizzata da profonde agitazioni. Si sentivano nell’aria voci di una nuova Costituzione e l’urgenza di grandi riforme, mentre tumulti studenteschi provocavano una pericolosa reazione delle autorità, ed eminenti cittadini di idee liberali venivano arrestati.
Un manifesto non firmato annunciava, a nome di un comitato rivoluzionario forse inesistente, che una ribellione per la Libertà siciliana sarebbe scoppiata in coincidenza alle feste per il compleanno del Re. Tale notizia non fece presa sulle autorità, ma l’argomento era talmente sconvolgente da diventare motivo di conversazione creando atmosfera di attesa.
Era il 12 gennaio 1848, compleanno di Ferdinando II di Borbone sovrano del Regno delle due Sicilie, quando “la rivolta scoppiò alla fiera vecchia oggi Piazza della Rivoluzione nel cuore della città”. Spontaneamente, il popolo palermitano si riversò per le strade in tumulto.
Giuseppe La Masa, un giovane liberale tornato in Sicilia, si mise a capo della rivolta. La cavalleria borbonica caricò i dimostranti, ma finì per avere la peggio. In breve tempo squadre di contadini e di montanari erano già scesi dalle vicine contrade a Palermo e “la rivolta si infuocò a macchia d’olio”. La città passò il potere agli insorti, mentre nei giorni seguenti si sparse per tutta l’isola la notizia degli eventi e i moti scoppiarono estendendosi in altri centri.
Le autorità borboniche prive di direttive non sapevano come regolarsi e non intervenivano. 7000 soldati borbonici che si trovavano ancora a Palermo ricevettero rinforzi, ma mancavano di una guida. Dopo vari tentativi per riprendere posizioni, i militari decisero di bombardare la città, ma alla fine si riconobbero sconfitti, lasciando definitivamente Palermo.
Il piccolo gruppo di liberali scoprì improvvisamente che le riforme politiche erano forse a portata di mano, che si trattasse di una Costituzione liberale o di un’autonomia siciliana, o forse di una Italia federale. Dopo nemmeno un mese dall’inizio della rivoluzione palermitana, il Re allarmato concesse finalmente la Costituzione, ma l’opinione pubblica siciliana chiedeva l’indipendenza completa da Napoli.
L’offerta del Re fu definitivamente e orgogliosamente respinta. I cittadini elessero un nuovo Parlamento, dando vita di fatto a uno Stato Siciliano, sotto la Presidenza di Ruggero Settimo. La Sicilia non chiedeva nuove istituzioni, ma la restaurazione di diritti che le erano appartenuti per tanti secoli, con “la convinzione che la Sicilia non dovesse dipendere da un altro stato”.
Il vento della rivoluzione scoppiata a Palermo si espanse freneticamente sugli altri stati italiani e l’11 febbraio 1848 i liberali toscani ottennero la Costituzione. Il 4 marzo del 1848 toccò al Piemonte. E persino Papa Pio IX fu costretto a concedere una Costituzione nello Stato della Chiesa.
Durante il periodo rivoluzionario, a Palermo si succedettero 7 Ministeri, senza che nessuno di essi riuscisse a imporre una ferma autorità. Quando, nel febbraio del 1849 i Borbone riproposero alla Sicilia un Parlamento e un viceré separato, l’offerta fu nuovamente respinta. La risposta fu data a gran voce dall’isterismo popolare, indisponibile a qualsiasi razionale discussione sulle possibili alternative e sulle probabili conseguenze di questo rifiuto.
Contro le nuove truppe borboniche (composte da 24000 uomini), che marciavano al comando di Carlo Filangeri Principe di Satriano, poco poterono i rivoltosi. Le città siciliane caddero una a una, senza consistenti ostacoli. La struttura politica palermitana della rivoluzione stava crollando: uno per uno, i ministeri si dimisero e nessuno rimase ad assumersi responsabilità e decisioni. L’esercito siciliano non aveva né capi, né morale, né l’addestramento necessario a resistere a una tale forza armata.
La rivoluzione finì molto meno gloriosamente di com’era cominciata. La rivolta del 1848 si era rivelata un’esperienza interessante, ma la realtà dei fatti è che aveva dimostrato che la sola forza rivoluzionaria fondamentalmente infuocata dallo spirito ribelle dei ceti plebei non era sufficiente. Senza una decisa e matura presenza politica siciliana in chiave Rivoluzionaria, ogni rivoluzione sarebbe stata destinata a durare poco.