Palestina terra senza pace

La storia della Palestina è complessa e ricca di avvenimenti che abbracciano millenni. Di seguito presento una sintesi cronologica dalle origini alle lotte contemporanee, incluse le cause dei conflitti con Israele.

La regione della Palestina, situata all’incrocio tra Europa, Asia e Africa, è stata abitata sin dal Paleolitico. Questo rappresenta il periodo in cui si sviluppò la tecnologia umana, con l’avvento dei primi strumenti in pietra. Alcuni resti archeologici dimostrano la presenza di insediamenti neolitici, come la città di Gerico.

All’età del Bronzo e del Ferro (circa 3000-1200 a.C.) si datano le città-stato cananee che dominarono la regione. Successivamente arrivarono i Filistei, da cui deriva il nome Palestina. Mentre gli Israeliti (secondo la Bibbia) si insediano nella regione ancora dopo, instaurando il Regno di Israele e poi di Giudea.

Gli Assiri, i Babilonesi, i Persiani e poi Alessandro Magno conquistano la regione. Infine, nel I secolo d.C., i Romani annessero la Palestina (Provincia di Giudea) ai territori dell’Impero. Nel 70 d.C., con la distruzione di Gerusalemme da parte dei Romani, cominciò la grande Diaspora ebraica (dispersione di popolo), per cui molti giudei vennero venduti come schiavi. La Diaspora conobbe il suo apice nel 133 d.C.

Nel VII secolo d.C., con la conquista araba, la Palestina entrò nell’orbita del califfato islamico. Gerusalemme divenne un centro sacro per l’Islam (Cupola della Roccia e la Moschea di al- Aqsa). Le tensioni si riaccesero nell’area tra il 1099 e il 1291: col periodo delle Crociate. I crociati europei conquistano Gerusalemme nel 1099, ma vennero successivamente sconfitti dai musulmani guidati da Saladino nel 1187.

Nel 1291 ebbe inizio la dominazione mamelucca, per cui la Palestina rimase sotto il controllo islamico. Nel 1516 iniziò invece il periodo ottomano, che perdurò fino al 1917. Sotto l’Impero Ottomano, la Palestina era una provincia marginale, ma strategica. Nel territorio convivevano diverse comunità, formate da musulmani, cristiani ed ebrei.

Nel XIX secolo emersero il nazionalismo arabo e il movimento sionista. Il nazionalismo arabo nacque come reazione al dominio ottomano e all’influenza europea; mentre il sionismo, fondato da Theodor Herzl, promuoveva la creazione di uno Stato ebraico in Palestina, vista come la terra storica degli ebrei.

Con la Dichiarazione Balfour (1917), il Regno Unito sostenne un “focolare nazionale ebraico” in Palestina. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, questo “focolare” divenne il nucleo originale dello Stato d’Israele. La Palestina divenne un mandato britannico e l’immigrazione ebraica aumentò, alimentando tensioni con la popolazione araba locale.

Nel 1947 l’ONU, con la Risoluzione 181, propose la spartizione della Palestina, determinando la creazione di uno Stato ebraico e di uno arabo. Gli arabi rifiutano, mentre gli ebrei dichiararono l’indipendenza dello Stato d’Israele. Nel 1948 scoppiò la prima Guerra arabo-israeliana, con centinaia di migliaia di palestinesi che diventano rifugiati (Nakba cioè “catastrofe”).

I conflitti nella regione continuarono. Nel 1956 vi fu la Crisi di Suez. Nel 1967 la “guerra dei sei giorni”, con Israele che occupa la Cisgiordania, Gerusalemme Est, Gaza, Golan e Sinai. Nel 1973 invece, la “guerra del Kippur”. Nel 1987 scoppia la Prima Intifada: una rivolta popolare contro l’occupazione israeliana. Nasce Hamas, movimento islamista palestinese.

Tra il 1993 e il 2000, con gli Accordi di Oslo si organizza un tentativo di pace tra Israele e l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina). Purtroppo, la questione dello Stato palestinese rimane irrisolta. La Seconda Intifada, tra il 2000 e il 2005, continua con azioni violente su entrambi i fronti, con scontri della Guerra a Gaza.

Dopo il ritiro di Israele da Gaza nel 2005, Hamas prende il controllo della Striscia nel 2007. Il territorio è sotto un blocco imposto da Israele e dall’Egitto. La popolazione che lì si trova vive in condizioni di estrema precarietà, con accesso limitato a risorse essenziali.

Nel frattempo, gli insediamenti israeliani in Cisgiordania continuano ad espandersi, nonostante le condanne internazionali. Questo crea tensioni con i palestinesi, che considerano quella terre come parte del futuro Stato di Palestina. Gerusalemme è un punto di contesa cruciale: Israele considera la città la sua capitale indivisa, mentre i palestinesi rivendicano Gerusalemme Est come capitale del futuro Stato palestinese.

La questione dell’accesso ai luoghi sacri, come la Moschea di al-Aqsa, è una fonte ricorrente di scontri. Periodici scontri tra palestinesi e forze israeliane si verificano durante manifestazioni, raid militari o azioni di protesta. Attacchi terroristici e operazioni militari da entrambe le parti contribuiscono a perpetuare il conflitto.

Mentre alcuni Paesi arabi normalizzano i rapporti con Israele (Accordi di Abramo del 2020), la questione palestinese resta marginalizzata. L’assenza di una leadership unificata palestinese complica i negoziati: Hamas governa Gaza con una linea più radicale, mentre l’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) controlla la Cisgiordania con un approccio moderato.

I palestinesi denunciano discriminazioni, confisca delle terre, demolizioni di case e restrizioni alla libertà di movimento. A Gaza, il blocco causa crisi umanitarie, con alti livelli di disoccupazione, mancanza di elettricità e acqua potabile. Sono stati registrati numerosi conflitti armati tra Israele e Hamas, nel 2008, nel 2014 e nel 2021, con pesanti conseguenze per i civili.

Attualmente, l’espansione delle colonie israeliane in Cisgiordania (dal 1967), in violazione delle risoluzioni ONU e considerati illegali secondo il diritto internazionale, alimenta le tensioni. Gerusalemme, città sacra per ebrei, musulmani e cristiani, è ritenuta la capitale di Israele. La popolazione palestinese vive in condizioni di oppressione e mancanza di diritti fondamentali; milioni di loro vivono in esilio, senza diritto al ritorno.

I contrasti attuali derivano principalmente dall’occupazione israeliana, dalle colonie in espansione, dalla questione dei rifugiati e dal controllo di Gerusalemme. La mancanza di una soluzione politica condivisa, il continuo ciclo di violenza e la frammentazione interna palestinese rendono il conflitto uno dei più difficili da risolvere al mondo.

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