Tra riforme e controrivoluzione: la Sicilia di Francesco Paolo Di Blasi

Dopo il 1780 in Sicilia i nomi di Voltaire, Rousseau e Montesquieu erano diventati alla moda nei salotti aristocratici di Palermo. Insieme a idee democratiche radicali, che dalla Francia erano giunte nella più aperta città di Catania. Ma per ironia della sorte, fu proprio la Rivoluzione Francese del 1789 a bloccare improvvisamente questo processo di evoluzione.

I consiglieri più reazionari del Re Ferdinando IV di Borbone (Re di Napoli e Sicilia) lo convinsero che ulteriori riforme avrebbero potuto portare a una rivendicazione di maggiore libertà politica. Questo avrebbe minacciato tanto lo Stato quanto la chiesa. E così, gli avvenimenti francesi ed i conseguenti timori della monarchia napoletana fecero allontanare il “ciclone delle riforme”.

Questi avvenimenti diedero respiro ai Baroni siciliani. I quali peraltro ottennero cortesia dal Viceré Principe di Caramanico e onorificenze dallo stesso re, tanto da sentirsi di nuovo potenti, come ai vecchi tempi.

In questo contesto politico, Francesco Paolo Di Blasi rappresentò una delle menti illuminate di maggior rilievo della fine del Settecento e pagò con la vita la sua fede negli ideali di libertà. Nato a Palermo nel 1753 da nobile famiglia, distinto letterato e giurista, a 25 anni nel 1778 pubblicò una ”dissertazione sopra le qualità uguaglianza degli uomini in riguardo alla loro felicità”.

Richiamandosi alle idee di Rousseau, Di Blasi auspicava riforme liberali nell’ambito delle istituzioni del Regno. Il riformatore di Blasi chiedeva un nuovo codice e l’abolizione della primogenitura, era favorevole all’istruzione delle donne e dei poveri, e aveva nuove idee rivoluzionare da applicare sulle imposte.

Nel 1795 il clima politico divenne convulso. Il nuovo viceré Lopez y Royo si trovò di fronte l’esercito rivoluzionario della Repubblica francese che, attraversata tutta l’Italia si accampava al di là dello stretto; mentre in Sicilia la Corte chiedeva sacrifici nel timore di un’invasione. Il malcontento e la repressione crebbero. E in questo clima di sospetto, ad alcuni gruppi parve possibile progettare una rivolta repubblicana.

Per mettere a punto il complotto molte riunioni avvennero in casa di Francesco Paolo Di Blasi. Negli ultimi tempi, il giurista aveva manifestato sempre più la sua insofferenza ai metodi della Corte di Napoli, al punto da illustrare nelle vicine campagne gli eventi francesi e il loro significato.

Diverse denunce private, a quanto pare alcune dovute a semplici rancori personali, rivelarono le sue intenzioni alla polizia. Francesco Paolo Di Blasi venne arrestato il 31 marzo 1795, condotto subito nel forte di ‘Castello a mare’ (una fortezza difensiva ubicata nella zona Cala) dove fu torturato diverse volte. Con estrema forza di volontà, il patriota illuminista non rivelò mai il nome degli altri autori del complotto. Date le sue origini nobiliari, la sentenza emessa il 18 maggio 1795 lo condannò a morte per decapitazione.

Il 20 maggio 1795, dopo aver dichiarato di morire cristianamente, Di Blasi fu portato nel Piano di SantaTeresa (oggi Piazza Indipendenza) dove era stato innalzato il patibolo e venne decapitato. Il suo corpo venne sepolto nella vicina chiesa di Santa Teresa (oggi Madonna dei Rimedi). Altri imputati per questa congiura pagarono, pure con la forca; mentre altri congiurati minori furono relegati nelle isole vicine.

Le idee di Francesco Paolo Di Blasi sono state fondamentali, un patrimonio culturale, storico e giuridico che animò il Risorgimento. Purtuttavia, riformatori illuministi riuscirono a disincagliare la Sicilia dalla sua situazione storico-politica, poichè le guerre napoleoniche provocarono una controrivoluzione relegando l’isola al vecchio ordine sociale.

La Sicilia e la Sardegna furono le due sole regioni d’Italia chè Napoleone non conquistò. In particolare, la Sicilia fu sottratta al “messaggio della Rivoluzione francese” che aveva stravolto l’intera Europa; condannando ancora una volta questa terra all’isolamento geografico.

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